31 luglio 2014 09:00

Nel 2000 si era alle soglie di quell’accentuarsi dei movimenti migratori nei paesi Ocse e nell’Unione europea, proseguito nei quattordici anni seguenti scavalcando le flessioni dovute alla crisi. Václav Havel, allora presidente della Repubblica Ceca, in un documento del Consiglio d’Europa ricordò ai proibizionisti: “L’Europa sa e ha sempre saputo aprirsi ai nuovi arrivati. Nel corso degli ultimi cinquant’anni c’è sempre stato in Europa un posto in cui persone diverse provenienti da altri continenti si sono sentite a casa propria. L’Europa era e deve restare sempre un continente aperto”.

In maggio un documento dell’Ocse,

Migration policy debates, ha fatto un utile punto della situazione, che vede l’immigrazione in calo in Spagna e Italia, in crescita in Germania. Un punto nodale delle politiche di ricezione degli immigrati è lo sviluppo di politiche linguistiche adeguate a loro. Jean-Claude Beacco, specialista francese di linguistica educativa, il britannico David Little e Chris Hedges, nel recente documento Linguistic integration of adult migrants (Consiglio d’Europa 2014, traduzione italiana in Italiano lingua due, 2014) raccomandano di tenere conto delle diverse condizioni linguistiche dei gruppi migranti e dei diversi livelli culturali dei singoli, e di non puntare alla cancellazione, ma, al contrario, alla preservazione della lingua d’origine come base ottimale di ulteriori apprendimenti.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it