11 luglio 2018 10:16

Il pensiero va al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, alle immagini dei bambini arrestati e detenuti dalla polizia di frontiera statunitense. Avete visto la foto di un bus usato per portare dei neonati in prigione. Avete il cuore spezzato.

Molti di questi bambini vengono dall’America Centrale, da paesi i cui governi sono stati in passato rovesciati dagli Stati Uniti e dove la società civile è stata polverizzata dalla guerra fredda e dalla guerra alla droga. Vi ricordate gli squadroni della morte, ma sapete anche che la loro violenza è paragonabile agli squadroni della morte dei narcotrafficanti e dei narcostati che fingono di combatterli. I bambini che oggi arrivano al confine sono fuggiti da paesi devastati da politiche commerciali ingiuste e dal suono costante delle armi da fuoco.

Un articolo dell’Associated press racconta che sono almeno 13mila i profughi mandati, a volte sotto la minaccia armata dell’esercito algerino, nel deserto del Sahara. Leggete una frase scritta da Lori Hinnant, la corrispondente dell’Associated press, e vi manca il fiato: “Il Sahara è un assassino silenzioso che si lascia poche tracce alle spalle”. È sconvolgente scoprire che per ogni persona che muore nel Mediterraneo, un fenomeno conosciuto, due moriranno nel deserto del Sahara, un fenomeno di cui sapete poco. O sapere che dal 2014 circa trentamila persone sono morte nel deserto.

Senza valore e senza nome
Su Twitter vedete le immagini, postate da alcuni amici, del milione di profughi rohingya nei loro precari campi in Bangladesh. Le piogge monsoniche hanno devastato i campi e queste persone già traumatizzate vivono in situazioni pericolose. Vedete la foto di Ajida Begam, una bambina di sei anni morta nel campo profughi di Cox’s Bazar, schiacciata da una frana provocata dalla pioggia.

Un vecchio articolo sul piccolo paese di Nauru, in Micronesia, afferma che qui è ospitato – è questa la parola giusta? – un campo di detenzione profughi dell’Australia. In questo campo di detenzione, o campo di concentramento, ci sono centinaia di bambini. Un articolo del 2014 cita un ragazzo di 16 anni: “Le persone venivano chiamate con l’identificativo della barca. Le persone non avevano alcun valore. Nessuna guardia mi ha chiamato per nome. Conoscevano i nostri nomi, ma ci chiamavano solo con l’identificativo delle nostre barche”.

Scoprite dalle Nazioni Unite che nel 2017 il numero totale di profughi era di 68,5 milioni. L’equivalente della popolazione della Thailandia

Un dottore ha parlato agli ispettori incaricati di verificare lo stato dei diritti umani di un tredicenne detenuto nel campo di Nauru. “Aveva perso ogni speranza”, ha dichiarato il dottore. Il dottore ha rilevato che il bambino “non ha appetito e si rifiuta di mangiare. Ha perso più di dieci chili, che sarebbe circa un quarto del suo peso corporeo”.

Scoprite dalle Nazioni Unite che nel 2017 il numero totale di profughi è stato di 68,5 milioni. È l’equivalente della popolazione della Thailandia. Alcune di queste persone sono sfollate da decenni. Tra loro ci sono i karen della Thailandia settentrionale, che si trovano nel campo profughi di Mae La nella provincia tailandese di Tak. Si trovano in questo campo dal 1984. Oggi ai profughi karen si sono aggiunti, in questo stesso campo, i profughi rohingya. I karen non sono l’unica popolazione a essere stata sfollata da almeno una generazione. Il caso più drammatico è quello dei cinque milioni di profughi palestinesi, che aspirano a una patria che gli è stata sottratta. Da generazioni vivono in esilio.

Vi concentrate poi su un altro numero: 16,2 milioni di persone sono state sfollate nel 2017. L’equivalente della popolazione del Senegal. Alcune di queste persone vengono proprio dal Senegal. Sono fuggite dal loro paese in Gambia a causa delle violenze politiche. Vi sorprendete nello scoprire che i gambiani sono scappati dal loro paese in Senegal. La violenza politica è solo il motivo apparente. Il 60 per cento della popolazione senegalese vive con meno di 3,10 dollari al giorno. Sono vittime della povertà tanto quanto della violenza armata.

Questi numeri vi confondono. Ogni giorno, dice l’Onu, 44.500 persone diventano profughe. Ovvero una persona ogni due secondi. Ci sono voluti dieci minuti per scrivere queste frasi. In questo tempo, ci sono stati trecento nuovi profughi nel mondo.

State pensando alla bambina dell’Honduras e ad Ajida Begam. Vi chiedete dei bambini disorientati costretti a marciare attraverso deserti e montagne, fuggendo cose che nessun bambino (o adulto) dovrebbero vedere. Non vi sorprende scoprire che oltre metà dei profughi nel mondo è costituita da bambini. Non vi sorprende affatto.

I paesi ricchi non accettano profughi: l’85 per cento di loro vive in paesi che sono già poveri

Pensate alle parole di Marcelo Venegas, che descrive il trauma di questi bambini come “dolore dell’anima”. Venegas è stato rinchiuso nel campo di concentramento e centro di torture Villa Grimaldi a Santiago del Cile dopo il colpo di stato, sostenuto dall’occidente, contro il governo socialista di Salvador Allende nel 1973.

L’esperienza di Venegas non è rara. Vi ricorda il caso dei comunisti cileni Bernardo Araya Zuleta e María Olga Flores Barraza de Araya, condotti in uno dei campi di concentramento cileni creati dalle forze armate del generale Pinochet. Insieme a loro c’erano tre dei loro nipotini. Questi bambini assistevano alle torture inflitte ai loro nonni. La loro nonna fu vittima di quello che all’epoca era noto come “trauma nervoso”. Venegas riflette su quel che una cosa del genere produce su un bambino: il “dolore dell’anima” che penetra a forza nella natura sensibile dei bambini.

Yoka Verdoner, sopravvissuta all’olocausto, ricorda che quando era bambina è stata costretta a nascondersi dopo che i nazisti avevano invaso il suo paese, l’Olanda. Penso a suo fratello, che quasi ottant’anni dopo questi eventi ne scrive al tempo presente. “Nella prima casa, urlo per sei settimane. Poi mi trasferiscono presso un’altra famiglia e smetto di urlare. Rinuncio. Niente intorno a me mi è noto. Tutti quelli che mi circondano sono stranieri. Non ho passato. Non ho futuro. Non ho identità. Non sono da nessuna parte. Sono congelato nella paura”. Aveva tre anni. Le sue parole colgono l’essenza della “paura dell’anima”: “Credo di aver fatto qualche terribile errore, visto che ho provocato la scomparsa del mondo che conoscevo”.

Non riuscite a togliervi dalla testa le parole di quest’uomo, otto decenni dopo. Sentite che la bambina dell’Honduras dirà più o meno la stessa cosa tra qualche decennio. La bambina rohingya non dirà nulla. È morta.

I paesi ricchi non accettano profughi. Scoprite, grazie all’Onu, che l’85 per cento dei profughi vive in paesi che sono già poveri. Sapete che il numero di quanti sono ricollocati è vergognosamente basso. L’Onu sostiene che sarebbe necessario ricollocare almeno 1,4 milioni di persone nel 2019. Ma il numero di posti disponibili per il ricollocamento è sceso ad appena 75mila (nel 2017). Questo significa che ci vorrebbero 18 anni per ricollocare queste persone così vulnerabili. E la cosa, sapete bene, potrebbe funzionare solo se non ci fossero più altri profughi prodotti da questo mondo iniquo. A voler essere onesti con voi stessi, sapete che il ricollocamento è inutile.

Quali sono le cause di questo pianeta di profughi? Conoscete la risposta.

  • Politiche di sviluppo e commerciali che creano deserti di opportunità.
  • Cambiamenti climatici che aggravano i problemi di sostentamento.
  • Idee tossiche sulla religione e l’origine etnica, che accecano la ragione.
  • Mercanti di armi che mettono le armi nelle mani della disperazione.
  • Guerre per i cambiamenti di regime con bombardamenti dal cielo e la sorpresa di aver prodotto una valle di lacrime.

Questa lista è parziale. Ma può aiutare a dare avvio al dibattito. Sapete che gli unici responsabili non sono Donald Trump e gli Stati Uniti. La cosa riguarda anche l’Europa e l’Australia. Ma anche i mercanti di armi e l’avidità delle grandi aziende. Lo sapete. Ora dovete fare qualcosa a riguardo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Alternet.

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