21 novembre 2010 12:07

Sono solidale con Olivia Wedderburn, la studentessa di 18 anni sospesa dall’Esher college del Surrey, a sudovest di Londra, per essere salita sul tetto della sede del Partito conservatore durante le proteste studentesche in Gran Bretagna.

Sono favorevole alle tasse universitarie, ma se le mie figlie fossero ancora al college avrei difeso il loro diritto di protestare. Se tante persone manifestano pacificamente, è un grande momento di democrazia a cui bisogna prestare attenzione.

Gli studenti hanno ragione a protestare. Anche per chi è favorevole alle tasse universitarie, la proporzione e la rapidità con cui sono aumentate sono vergognose, e l’aspetto peggiore è la mancanza di un progetto complessivo. Queste tasse non servono per aumentare gli investimenti nelle nostre università e per migliorarle. Sono triplicate nel giro di due anni a causa della ridicola teoria secondo cui il paese sta andando in bancarotta e quindi la spesa pubblica deve essere ridotta.

Laureati e indebitati

Le tasse triplicate non porteranno più investimenti nell’istruzione superiore, attenueranno solo quella che altrimenti sarebbe stata una catastrofe. Un principio giusto e ragionevole è stato compromesso dalla natura apocalittica della sua introduzione. Gli studenti adesso si trovano a lasciare l’università con 60mila sterline di debito senza vedere nessun miglioramento, anzi probabilmente con un peggioramento della qualità dell’istruzione. Alcuni pensano di andare a studiare nelle università in lingua inglese dei Paesi Bassi o della Scandinavia, dove pagherebbero solo seimila sterline per tre anni. Altri di andare negli Stati Uniti. Altri di non andare affatto all’università.

Sarebbe stato meglio distribuire l’aumento in cinque anni, invece di due, e fare solo tagli marginali alla spesa per l’istruzione, dimostrando così che si investiva nell’istruzione superiore. In tal modo alla società civile sarebbe stata data la possibilità di assorbire il colpo, vedere i vantaggi e capire che per gli studenti gli interessi sul debito, anche se a prima vista sembravano scoraggianti, erano sostenibili.

Il cambiamento è stato troppo grande, troppo rapido e ha spaventato tutti. Non è possibile trattare la società come una voce di bilancio e distribuire rischi e debiti tra i cittadini senza offrire una spiegazione ragionevole e senza dare l’impressione che esista un contratto sociale. Altrimenti lo stato toglie semplicemente servizi e chiede ai cittadini di cavarsela da soli.

Troppe politiche sociali hanno ormai questa impostazione e quindi nessuno considera più i politici come garanti del patto sociale. Compratevi una casa, badate a voi stessi e ora pagate anche le tasse universitarie. La società non esiste più. È questa sensazione di essere impotenti, di essere dimenticati, di vedersi sottrarre servizi senza avere nulla in cambio e, soprattutto, di non essere ascoltati, che manda su tutte le furie gli studenti ma non solo loro.

Le ragioni della destra

Verso la fine del mese, Channel Four trasmetterà The battle for Barking, un interessante documentario sulla battaglia di Margaret Hodge contro Nick Griffin del partito di estrema destra British national party (Bnp) nel collegio elettorale di Barking a Londra. La regista Laura Fairrie ha colto il senso di abbandono che il Bnp sfrutta per conquistare i suoi voti. E dà voce alle persone che si lamentano perché gli immigrati che non hanno pagato le tasse ottengono una casa con il giardino prima dei cittadini della classe operaia che l’aspettano da tempo.

La buona notizia è che la campagna elettorale di Hodge, che ha messo insieme un gruppo di bianchi e appartenenti alle minoranze etniche, è stata vincente. Hanno combattuto strada per strada per strappare voti al Bnp. È uno spettacolo esaltante. Ma questa vittoria avrà un senso solo se la nostra classe politica capirà il messaggio. Il contratto sociale britannico deve essere rivisto, ma deve rimanere un contratto, altrimenti creiamo un mondo in cui ognuno pensa a se stesso.

Questo distingue le proteste di oggi da quelle a cui ho partecipato io negli anni sessanta: le manifestazioni di oggi sono più cupe. La nostra società è molto più ricca di allora, ma non c’è lo stesso ottimismo. Dopo la stretta creditizia, l’arcivescovo di Canterbury ha chiesto ai banchieri di espiare le loro colpe. Io stesso ho lanciato l’idea di una commissione per la riconciliazione e la verità finanziaria per fare in modo che le cose cambiassero. Invece tutto è tornato come prima. Gli studenti minacciano altre proteste.

Blair non ascoltò quelle per la guerra in Iraq, e prima di lui la signora Thatcher non ascoltò le proteste contro la poll tax. Entrambi hanno pagato l’errore con la loro carriera. Quando tante persone scendono in piazza, i leader politici democratici dovrebbero preoccuparsi. In due anni siamo passati da una crisi finanziaria provocata dai banchieri a un mondo nuovo e più arrabbiato, di tagli ai sussidi, di attacchi ai “fannulloni” e di aumento delle tasse universitarie. Molti hanno la sensazione che le regole che valgono per alcuni sono diverse da quelle che valgono per tutti.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 873, 19 novembre 2010*

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it