23 aprile 2013 10:05

A volte capita che la storia riservi una certa quale giustizia poetica. È il caso delle vicende di cronaca riguardanti l’infausto mausoleo eretto ad Affile, provincia di Roma, alta valle dell’Aniene, e inaugurato il 10 agosto 2012. “Sacrario”, lo definiscono in loco. “Vespasiano”, lo hanno ribattezzato in rete gli oppositori.

L’edificio è intitolato al criminale di guerra e gerarca fascista Rodolfo Graziani, che ad Affile visse ed è sepolto. Sul sito del comune di Affile c’è una pagina dedicata all’uomo, dove si asserisce che costui – passato alla storia come autore di alcune delle più efferate stragi mai compiute da europei in Africa – “seppe indirizzare ogni suo agire al bene per la Patria attraverso l’inflessibile rigore morale e la puntigliosa fedeltà al dovere di soldato”.

Nella tarda estate del 2012 l’inaugurazione causò proteste, interrogazioni parlamentari e un esposto alla corte dei conti per distrazione di soldi pubblici. Il comune aveva infatti richiesto i fondi necessari riferendosi a un generico “sacrario al soldato”, senza riferimenti a Graziani. La stampa romana dedicò molto spazio alla controversia, quella nazionale assai meno, e in ritardo di mesi. Nel frattempo erano usciti articoli su giornali e siti d’informazione britannici, spagnoli, francesi, tedeschi, svedesi, venezuelani, messicani, turchi. Una lunga corrispondenza da Affile era apparsa sul New York Times.

Da allora, le reazioni dal basso sono state le più svariate: una protesta promossa da Anpi e Rastafariani (connubio che non ci risulta si fosse mai visto prima); i muri del sacrario abbelliti da grandi scritte nere (CHIAMATE EROE UN ASSASSINO!) e, in un’altra occasione, coperte da un grande drappo rosso sangue; una “marcia di avvicinamento” ad Affile da parte di musicisti underground romani, e tante altre azioni grandi e piccole che qui non possiamo elencare. La più bizzarra? Nell’ottobre scorso ignoti hanno “gemellato”, mediante false targhe commemorative, gli ultimi sette vespasiani rimasti a Bologna e il “vespasiano” di Affile. Al binomio PATRIA-ONORE campeggiante su quest’ultimo, gli anonimi hanno risposto con PATRIA-ODORE.

Quando le reazioni sono così varie e decise e sono espresse da gruppi e settori apparentemente così lontani, è segno che l’intera vicenda ha toccato un nervo scoperto e ha preso una valenza simbolica. Il significato simbolico del mausoleo in quanto tale parrebbe essere che è stato giusto, almeno in un determinato momento storico, che “noi” italiani, in nome della grandezza della Patria, si massacrasse, si sterminasse col gas, si reprimesse nel sangue “razze inferiori”, “popoli immaturi e primitivi”. Detto in una parola impronunciabile, che è tra le più pronunciate in Italia: “negri”.

Il legame tra il fascismo quotidiano contemporaneo, il razzismo e la condizione degli immigrati nel nostro paese è stato sottolineato in maniera lucida e netta, in diversi interventi, dalla scrittrice di origine somala Igiaba Scego. Il più recente è una lettera aperta al presidente della regione Lazio Zingaretti, in cui la scrittrice definisce il sacrario “un paradosso tragico, una macchia per la nostra democrazia, un’offesa per la nostra costituzione nata dalla lotta antifascista”. Pochi giorni prima, un’interrogazione parlamentare era stata

firmata dai neoeletti Kyenge, Bizzoni e Beni.

Giustizia poetica, dicevamo. Parrebbe proprio di riconoscerla all’opera nella cronaca, cioè nella storia in fieri. Da quell’11 agosto scorso, al “centrodestra” laziale è capitato davvero di tutto. Lo scandalo Fiorito ha portato prima alle dimissioni di Renata Polverini poi alla perdita della regione Lazio. Nel settembre 2012 il sindaco di Roma Gianni Alemanno dichiarò: “Un’oscura maledizione pesa sulla regione Lazio”. Negli stessi giorni, Alessandra Mussolini finiva con l’auto dentro una buca e le inchieste sulla giunta Alemanno e le parentopoli capitoline cominciavano a lievitare.

Di primo acchito, tutto ciò parrebbe confermare la diceria che fosse un menagramo. Che portasse sfiga, insomma. E non solo ai nemici della grandezza della Patria, ma anche ai suoi stessi camerati. Anzi, da un certo punto in avanti, soltanto ai suoi camerati. La diceria risale ai “fasti” dell’impero fascista in Africa orientale. È un dato di fatto che dai massacri etiopi in avanti, Graziani incontrò una lunga serie di catastrofici insuccessi, uno su tutti l’invasione dell’Egitto. Non portò certo fortuna alla repubblica di Salò, della quale fu ministro della guerra.

Lo spartiacque sarebbe quel giorno del 1937 in cui Graziani, da viceré d’Etiopia, diede l’ordine di sterminare tutti i cantastorie, i guaritori, gli indovini e le fattucchiere di Addis Abeba, colpevoli di predicare contro il dominio italiano e profetizzare (a ragione) il ritorno dell’imperatore Hailé Selassié.

Secondo una tradizione popolare, i sortilegi scagliati dalle vittime contro il carnefice trasformarono l’uomo di Affile in uno jettatore di primo livello. È in quei giorni che si comincia a parlare della “maledizione abissina di Graziani”.

Se non fossimo materialisti storici, e fossimo più superstiziosi, riterremmo la decisione di erigere un sacrario per disseppellire il ricordo di siffatto personaggio non solo eticamente e politicamente inaccettabile, ma anche un’irresponsabile sfida alla maledizione abissina.

Se non fossimo materialisti storici, penseremmo che, oltre al ricordo di Graziani, gli affilani ne abbiano dissepolto anche… l’influsso.

Il punto è: noi siamo materialisti, ma loro – i “postfascisti” laziali – hanno sempre rivendicato di non esserlo. “Spirito” è da sempre una delle parole-valigia più utilizzate a destra. Loro credono allo Spirito, e forse anche agli spiriti. Possibile che non sapessero della maledizione?

Proprio perché siamo materialisti, non la chiamiamo “sfiga” ma, come si diceva sopra, giustizia poetica.

Poi capita che arrivi anche la giustizia politica. Il neoeletto presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha deciso di porre rimedio allo scempio, decidendo di sospendere “l’erogazione del saldo di 180mila euro per la realizzazione dell’opera fino al ripristino della proposta progettuale originariamente finanziata. Questo vuol dire apportare delle modifiche strutturali al monumento e intitolarlo come originariamente concordato ‘al soldato’, facendo scomparire qualsiasi riferimento a Rodolfo Graziani e cancellando questa provocazione, che rappresenta non solo un atto scorretto dal punto di vista legale e amministrativo, ma un’inaccettabile offesa alla libertà, alla democrazia e alla memoria di tutti gli italiani”.

Il sindaco di Affile Ercole Viri, che dall’anno scorso ci ha abituato a buffe intemerate, ha risposto definendo Zingaretti “stalinista”, negando qualunque violazione da parte del comune e – come sempre accade – annunciando querele.

Noi vorremmo avanzare la nostra immodesta proposta.

Riteniamo indispensabile rendere il monumento meno raggelante alla vista e trasformare il mausoleo al massacratore in qualcosa di completamente diverso. Qualcosa sulla scorta del grande murale realizzato dallo street artist Blu a Bologna nel marzo scorso, per difendere il centro sociale XM24 dagli speculatori edilizi.

Perché non trasformare il sacrario in una sorta di barricata artistica contro il razzismo storico e quello presente, pervasivo, quotidiano? Perché non dipingerci sopra un omaggio alla lotta anticoloniale del secolo passato, che sia anche monito diretto a chi ritiene legittimo considerare una vita umana inferiore, o abusiva?

Illuminare con un po’ di consapevolezza i crimini del nostro passato coloniale, e provare a individuare il filo rosso che li lega alle tensioni dell’oggi. Farlo con un’opera d’arte di strada popolare e contemporanea. Questo, forse, sarebbe rendere davvero un servigio al paese, “alla democrazia e alla memoria di tutti gli italiani”.

Affidiamo a Blu i muri del Vespasiano di Sangue. Trasformiamolo in una delle più importanti opere d’arte del mondo.

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Affile, Grazianilandia. L’eredità razzista e il mausoleo delle sfighe.

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