13 gennaio 2001 00:00

Per chi è cresciuto in un paese dove lo stato ha avuto per decenni il monopolio del lavoro, essere costretti a guadagnarsi da vivere da soli è come fare un salto nel vuoto. Ecco perché in questi giorni in tutti i luoghi di lavoro è palpabile la paura per la pubblicazione della temuta lista con i nomi di chi perderà il posto.

Decidere quali dipendenti rimarranno e quali no spetta a ciascun dirigente e si sono già verificati casi in cui non sono i più capaci a mantenere il posto, ma i più vicini al direttore. Paradossalmente i posti che tutti cercano di mantenere non sono pagati abbastanza, ma la diminuzione di un quarto della forza lavoro attiva non comporterà per ora un aumento degli stipendi di chi rimane.

La riduzione degli organici colpirà anche settori delicati come la sanità pubblica. È il momento di aprire gli occhi davanti a una Cuba diversa, in cui la promessa della piena occupazione non si proclama ai quattro venti e il lavoro autonomo appare ostico e insicuro.

Alcuni abbandoneranno i loro camici bianchi per le forbici da barbiere, o le siringhe per un forno dove cuocere pane e pizze. Impareranno strada facendo che l’indipendenza economica porta con sé l’indipendenza politica, andranno in bancarotta o si arricchiranno, mentiranno nella dichiarazione dei redditi o diranno quanto hanno guadagnato.

Insomma, imboccheranno una strada nuova, difficile, dove lo stato padre non potrà sostenerli, ma non avrà neanche la forza di punirli.

*Traduzione di Sara Bani.

Internazionale, numero 880, 14 gennaio 2011*

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