Al sesto vertice delle Americhe le isole sono tornate a segnare il passo di un intero continente: le Malvine da una parte e Cuba dall’altra. Le prime per un conflitto di appartenenza tra l’Argentina e la Gran Bretagna, la seconda al centro di un dibattito sulla pertinenza o meno di dare legittimità al suo governo.

Non dovrebbe stupirci la sproporzione tra i chilometri quadri di un territorio e la quantità di controversie in grado di creare in un vertice presidenziale. Non dovrebbe sorprenderci questa discordanza, perché per 53 anni è stata questa la diplomazia coltivata da Fidel Castro e ora proseguita da suo fratello.

Esserci senza esserci, boicottare senza presentarsi, sbattere la porta senza prima provare a bussare. A segnare l’appuntamento presidenziale sono stati anche la presa di posizione di Rafael Correa, l’assenza di Hugo Chávez e di Daniel Ortega o la partenza improvvisa di Cristina Kirchner.

Diversi presidenti riuniti in Colombia hanno assicurato che il nostro paese sarà presente al prossimo appuntamento continentale. Ma di quale Cuba stanno parlando? Indubbiamente di un paese che avrà più difficoltà a far passare in secondo piano gli argomenti avanzati dalle potenze emergenti dell’area e legati alle sfide politiche del momento.

José Mujica ha detto che “la bandiera dalla stella solitaria” dovrebbe essere presente accanto ai suoi pari della regione, e questa affermazione può essere letta come un previsione dei cambiamenti radicali che noi cubani vivremo nei prossimi anni.

Anche nei governi più vicini all’Avana, pochi credono che Raúl Castro sarà tra gli invitati al settimo vertice delle Americhe. Tutto fa pensare che al suo posto ci sarà qualcun altro che nel miglior scenario sarà un presidente eletto dal popolo. L’isola alla fine inserita, con le giuste dimensioni e la giusta importanza, nel continente.

Traduzione di Francesca Rossetti.

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