13 marzo 2015 16:05

“Non ci sono stati combattimenti sul fronte e si fanno progressi. Gli unici ostacoli sono i cecchini e gli ordigni esplosivi”. Ecco come uno dei comandanti dell’esercito iracheno ha descritto l’offensiva militare per riprendere Tikrit. In città i soldati hanno circondato i vecchi palazzi di Saddam Hussein sulla riva del fiume e prima di entrare aspettano che gli sminatori abbiano finito il loro lavoro. I combattenti del gruppo Stato islamico infatti hanno seminato autobombe e altri ordigni agli ingressi e all’interno degli edifici governativi. Quindi ci vorrà un po’ di tempo per arrivare nel centro della città, ma il sindaco di Tikrit assicura che è solo questione di giorni.

I mezzi d’informazione parlano della battaglia in modo diverso: quello che sta succedendo non è così chiaro e pulito come vorrebbero i militari.

Da una parte si parla di azioni di rappresaglia contro i sunniti, civili compresi. L’ong Human rights watch è intervenuta per chiedere di prevenire i crimini delle milizie sciite. Il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha promesso di punire i soldati e i miliziani che commetteranno abusi contro la popolazione di Tikrit.

Dall’altra, sulle tv irachene e sui social network circolano immagini degli abitanti della città che accolgono i loro liberatori con bandiere bianche, balli e baci. I miei familiari che vivono ad Al Alam, un villaggio a sei chilometri da Tikrit, mi hanno raccontato che il 99 per cento dei loro vicini è scappato, e che loro ora si trovano tra due fuochi: la minaccia del gruppo Stato islamico e i bombardamenti.

Quale sarà la prossima tappa dopo Tikrit? Il leader dell’organizzazione sciita Badr, Hadi al Amiri, ha dichiarato ai giornalisti che la prossima città sarà Ramadi, mentre Mosul sarà liberata dagli Stati Uniti e dai loro alleati. In realtà, con queste parole Amiri voleva lanciare una sfida agli statunitensi.

Le autorità di Baghdad sono di un altro avviso: stanno osservando la battaglia di Tikrit per capire se le loro forze saranno in grado di espugnare Mosul, che ormai è una roccaforte jihadista. Le persone in fuga dalla città raccontano che i miliziani dello Stato islamico si stanno ritirando senza combattere. Ma non tutti: i jihadisti d’origine straniera non vogliono arrendersi.

(Traduzione di Francesca Sibani)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it