02 dicembre 2019 16:32

La mattina di giovedì 28 novembre c’è stato un brutale attacco in Iraq. Nella città meridionale di Nassiriya, alle 5.30 del mattino, gli agenti delle squadre speciali, insieme ai reparti antisommossa e ad altre forze di sicurezza, guidate dal noto e sanguinario generale Jamil al Shamay, hanno attaccato i manifestanti da tre lati. Senza alcun preavviso hanno aperto il fuoco nel mezzo di una pioggia di gas lacrimogeni, uccidendo in poche ore almeno 49 persone tra manifestanti e civili.

Il massacro ha aperto una nuova fase nelle azioni del governo per fermare le proteste che si sono diffuse in dieci città del paese dall’ottobre scorso. Lo scontro si è infatti risolto con le dimissioni del premier Adel Abdul Mahdi presentate il 29 novembre e approvate il 1 dicembre dal parlamento iracheno.

Colloqui inutili
Non essendo stato in grado di convincere i giovani manifestanti con le sue promesse Abdul Mahdi aveva incontrato i capi delle tribù delle città meridionali, chiedendogli di placare gli animi. Ma anche i capi tribù hanno fallito e così hanno inviato una petizione al grande ayatollah Ali al Sistani chiedendogli di farlo al posto loro. Alla fine, prima di dimettersi, Mahdi aveva optato per una sanguinosa soluzione finale inviando sei generali dell’esercito a prendere il comando nelle città del sud in tumulto, tra cui la sua città di origine, Nassiriya. In alcuni video si possono osservare i ponti della città somiglianti a una zona di guerra, con corpi sparsi per terra e colpi sparati sui giovani manifestanti.

A Najaf l’Iran è stato accusato di essere responsabile di tutte le uccisioni in Iraq

La tensione tra il governo e le piazze è salita alle stelle dopo il massacro. Le tribù di Nassiriya hanno bloccato armi in pugno la strada che collega la città a Baghdad, per impedire così l’ulteriore invio di forze militari. Il sindaco della città si è dimesso in segno di protesta contro l’eccidio. Il funerale delle persone uccise ha inasprito la rabbia e ha fatto crescere il numero di manifestanti sulla via del cimitero di Najaf.

A Najaf, città santa dello sciismo, i manifestanti hanno dato fuoco all’ambasciata iraniana, accusando la Repubblica islamica di essere responsabile di tutte le uccisioni in Iraq. Sotto la pressione delle piazze il grande ayatollah Ali al Sistani ha accusato il governo della morte dei manifestanti e del ritardo nell’intraprendere qualunque passo concreto di riforma, “causando così ulteriori catastrofi”.

In piazza Tahrir a Baghdad un attivista infuriato ha gridato dagli altoparlanti: “Sembra che Abdul Mahdi abbia avviato il suo piano per una guerra civile. Dobbiamo essere pronti!”.

(Traduzione di Francesco De Lellis)

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