14 aprile 2016 15:53

Quando Aboubacar Sidy Sonko parla della difficoltà di far accettare ai suoi genitori la scelta di intraprendere una carriera da imprenditore, i venti ragazzi seduti nel pubblico annuiscono comprensivi. Siamo a Thiès, in Senegal, a sessanta chilometri dalla capitale Dakar. Sonko partecipa al lancio di un incubatore per promuovere l’imprenditoria giovanile nell’ambito dell’agricoltura. L’incubatore si chiama Yeesal Agrihub: “Yeesal” in wolof, la lingua più parlata in Senegal, vuol dire “innovazione” e riassume l’ambizione dei fondatori di risolvere alcuni problemi dell’agricoltura con la tecnologia.

In Senegal l’agricoltura rappresenta il 15,8 per cento del prodotto interno lordo e impiega il 77 per cento della forza lavoro, secondo i dati del 2014. Nel settore agricolo lavora non solo chi alleva animali o coltiva la terra, ma anche chi trasforma, distribuisce, trasporta e rivende i prodotti agricoli. Oltre ai mercati di grandi e piccole città, agli angoli delle strade di molti quartieri non è raro trovare donne con un banchetto di frutta e verdura acquistata al mercato e rivenduta nelle zone “non servite” da altri negozi.

Basta un sms per informarsi sul prezzo dei generi alimentari a Dakar

Sonko è il fondatore di Amandjine, una micro impresa informatica attraverso cui ha sviluppato Mlouma, un’app che fornisce ai produttori locali i prezzi aggiornati sul mercato internazionale dei beni alimentari. In wolof louma significa “camminare e chiedere”: grazie a Mlouma i produttori possono sapere i prezzi dei beni senza muoversi dal loro villaggio. Basta un sms per informarsi sul prezzo dei generi alimentari a Dakar, e un altro sms per informare gli altri produttori su cosa e quanto hanno raccolto.

Sonko è cresciuto in un villaggio nel sud del Senegal, vicino a Ziguinchor, nella verde area della Casamance, dal nome del fiume che attraversa la regione del Senegal compresa tra il Gambia e la Guinea Bissau. Quando si è trasferito a Saint-Louis, nel nord, per frequentare l’università, si è reso conto che i prodotti venivano venduti a un prezzo dieci volte superiore rispetto a quello pagato nel suo villaggio: “Un’ingiustizia per i contadini e per i consumatori che in città acquistano a prezzi esorbitanti”, spiega Sonko. Con Mlouma ha risposto a uno dei problemi principali di questo settore: quello della circolazione delle informazioni.

Oggi Sonko dà lavoro a diciotto persone in sette regioni del Senegal, e si rivolge a ventimila utenti. Prima di arrivare a questo punto ha dovuto affrontare molte difficoltà, specialmente quando ha detto di voler lasciare il lavoro per creare una startup.

Diventare imprenditori non è facile

Secondo i dati dell’Unesco, in Senegal solo il 7,6 per cento degli studenti accede a un ciclo di studi universitario: un percorso che per molti implica molti sacrifici da parte della famiglia. Per questo quando un ragazzo o una ragazza dicono alla famiglia di non volersi far assumere da un’azienda per cominciare un’attività in proprio, il mondo crolla. Così è stato anche per Awa Caba, 28 anni, cofondatrice di Sooretul, una piattaforma per comprare online i prodotti lavorati da cooperative di contadine. Saponi, olii, marmellate: sono questi i prodotti che si trovano in vetrina a Soretuul, che in wolof significa “non così lontano”.

Awa ha studiato ingegneria informatica, ma già durante gli anni dell’università, partecipando a diversi concorsi, si è resa conto che la sua strada era quella dell’imprenditoria e ha cominciato a investire tempo e risorse nella sua idea. Oggi con sette persone che lavorano per lei e più di quindici cooperative che distribuiscono almeno 320 tipi di prodotti nella sua piattaforma, Awa può dire di aver fatto la scelta giusta.

Le storie dei ragazzi di Yeesal si somigliano tutte: sono ambiziosi, hanno studiato ingegneria delle telecomunicazioni o informatica, ma invece di inseguire una carriera in una multinazionale hanno preso a cuore i problemi del settore agricolo e hanno scelto di ritornare alla terra senza rinunciare a un lavoro altamente specializzato.

Come Amadou Soaw, fondatore di Daral, impresa su cui ha investito tutti i suoi soldi, tanto che per cinque anni ha vissuto con cinquanta centesimi al giorno, sotto il limite della soglia di povertà indicata dalla Banca mondiale.

Daral è un’applicazione che aiuta gli allevatori ad affrontare uno delle più grandi minacce alla loro attività: la perdita e il furto di bestiame, molto frequente in Senegal, anche a causa delle lotte tra diversi gruppi di allevatori in alcune regioni nel paese.

Una donna fa il bucato in un canale vicino alla città di Richard Toll, in Senegal. (Normand Blouin, Reuters/Contrasto)

Il valore del bestiame nell’intero paese è stimato in circa 700 milioni di euro, una famiglia che perde le sue greggi rischia la rovina. L’applicazione di Soaw permette agli allevatori di tracciare il bestiame grazie a un chip applicato sull’animale. La banca dati con tutte le informazioni è consultabile via internet. Digitando il codice identificativo, per esempio, se trovo una bestia smarrita, ottengo anche la foto del proprietario.

I primi finanziatori di queste imprese sono le compagnie telefoniche come Orange, che ha uno specifico programma di sostegno agli imprenditori in Africa, ma anche giganti come Microsoft con l’iniziativa 4Afrika e Google, che spesso diventano partner tecnici di queste startup.

Il Senegal è un terreno particolarmente fertile per l’imprenditoria: secondo il rapporto Doing business 2015: going beyond efficiency, pubblicato nel 2015 dalla Banca mondiale, con un tasso di crescita del pil del 4,6 per cento all’anno (2014) l’economia senegalese è tra le prime dieci con la migliore performance nell’attuazione delle riforme per facilitare gli affari, soprattutto nell’ambito delle infrastrutture e della politica fiscale.

A sostenere economicamente Yeesal Agrihub c’è la cooperazione tedesca e una ong italiana, Lvia, che ospita la sede dell’incubatore a Thiès. Ma la Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di agricoltura, tiene d’occhio i progetti dei venti imprenditori che ne fanno parte, così come Cta, centro di formazione in ambito agricolo che ha sede nei Paesi Bassi, e che di recente ha pubblicato un rapporto sugli imprenditori agricoli in Africa.

In Senegal solo il 17,7 per cento della popolazione ha accesso a internet, mentre almeno il 98 per cento si collega a una rete cellulare. “Gli agricoltori non hanno bisogno di internet, ma hanno bisogno di soluzioni che facilitino il loro lavoro”, sostiene Awa Caba. Decine di giovani imprenditori sono pronti a fornirgliele.

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