15 aprile 2019 09:54

A Roccaforte del Greco ci sono un bar, un alimentari e un ferramenta. L’ufficio postale apre a giorni alterni, mentre il medico di base non c’è tutti i giorni della settimana. Nella vicina e vecchia base americana abbandonata ci pascolano le mucche.

Negli ultimi dieci anni dal piccolo comune dell’Aspromonte se n’è andato quasi il 40 per cento degli abitanti e così, con i suoi 450 residenti, è diventato il simbolo dello spopolamento della Calabria. Il colpo di grazia è arrivato a metà settembre del 2018. Appena tre giorni prima dell’inizio della scuola, alle famiglie è stato detto che le elementari non avrebbero riaperto perché non c’era il numero minimo di bambini per formare neanche la cosiddetta classe onnicomprensiva, e cioè una classe dove si va tutti insieme, dalla prima alla quinta. Un anno fa avevano chiuso anche le medie.

E così ora bambine, bambini, ragazze e ragazzi devono svegliarsi alle 7, prendere lo scuolabus e raggiungere la scuola di Chorio di San Lorenzo entro le 8.15. A 23 chilometri di distanza e a un migliaio di metri di dislivello. “Li facciamo uscire senza aver fatto colazione per evitare che si sentano male, la strada è piena di curve ed è dissestata”, dice Rosy Attinà, madre di due ragazzi iscritti alla prima e alla terza media, sostenitrice della riapertura delle scuole a Roccaforte del Greco. Non fosse stato per lei, la chiusura sarebbe avvenuta in “un clima di generale apatia”, dice. Era riuscita a trascinare con sé un gruppo di mamme, ma ormai era troppo tardi per impedire la chiusura delle classi frequentate dai loro figli.

L’anno scorso, per evitargli i tragitti in autobus, Attinà ha fatto studiare i figli a casa. Quest’anno ha dovuto cedere e ogni mattina i ragazzini affrontano il viaggio. Rientrano a casa nel primo pomeriggio, mentre due giorni a settimana tornano verso sera perché ci sono le lezioni pomeridiane e lo scuolabus, prima di salire a Roccaforte, passa da Santo Stefano d’Aspromonte per riportare a casa i ragazzini di quel paese.

Alla scuola di Chorio non c’è la mensa. Per la pausa pranzo, i bambini dei paesi di montagna mangiano in aula i panini che si sono portati da casa, in attesa della ripresa delle lezioni.

Gli insegnanti fanno trovare la colazione a Francesco, Domenico, Vincenzo, Gabriella, Mariagrazia e agli altri tre ragazzini tra i sei e i quattordici anni che arrivano da Roccaforte. Ritardi e assenze sono giustificati perché spesso le strade sono bloccate a causa delle frane, del ghiaccio o della neve.

“Il problema è che i programmi vanno avanti e gli assenti rischiano di rimanere indietro negli studi, almeno a Roccaforte quando la scuola era chiusa lo era per tutti”, dice Attinà, che con suo marito Luigi Carella gestisce un piccolo forno dove prepara il pane tre volte a settimana.

In controtendenza
Prima di trasferirsi qui, Carella faceva l’operaio in un’officina di Frattamaggiore che lavorava per conto della Fiat di Pomigliano d’Arco, nel settore aerospaziale. Quando è morto il titolare ed è cambiata la proprietà, c’è stata una ristrutturazione ed è finito in mobilità.

“A quel punto, costretti a emigrare, abbiamo ragionato se fosse più conveniente spostarci a Milano o a Roma, oppure ancora più a sud, e alla fine abbiamo deciso di venire qui”, racconta. Così, mentre Roccaforte si spopolava, marito e moglie hanno deciso di andare in controtendenza e trasferirsi in Aspromonte da Secondigliano, quartiere della periferia nord di Napoli ad alta densità abitativa.

Una scuola media statale chiusa a Roccaforte del Greco, settembre 2018. (Fabio Itri, Ulixes Pictures)

“All’inizio è stata dura, però con il tempo si apprezzano le cose belle”, aggiunge. Ed elenca le cose che gli piacciono di più: i paesaggi, la natura, il cibo genuino, l’aria buona, il silenzio. Non avevano però messo in conto la chiusura dei servizi, pure quelli di base, come il reparto maternità dell’ospedale più vicino, quello di Melito Porto Salvo, e le scuole di ogni ordine e grado.

Ora, per partorire, è necessario andare a Reggio Calabria, guidando per due ore su una strada per lo più dissestata, in parte franata e perennemente a rischio, per non parlare del traffico sulla statale 106. La stessa che percorrono ogni mattina, cambiando due autobus, gli studenti delle superiori di Roccaforte del Greco.

Anche i più accaniti sostenitori del paese, quando i figli diventano adolescenti, tre volte su quattro decidono di spostarsi verso il mare, per facilitargli il proseguimento degli studi.

Anche Attinà e Carella presto si troveranno di fronte a questo problema. Hanno investito i risparmi per comprare casa a Roccaforte e ristrutturarla, ma l’anno prossimo uno dei due figli dovrà andare alle superiori. Quest’anno a Melito Porto Salvo non si è riusciti a formare la prima del liceo e così ragazze e ragazzi dovranno andare a Reggio Calabria.

Tra resistenza e mafia
A Roccaforte del Greco i pochi rimasti sono pensionati, pastori o forestali, come in un romanzo di Corrado Alvaro. Con la differenza che rispetto alla gente d’Aspromonte raccontata dallo scrittore di San Luca oggi tutti hanno l’automobile, lo smartphone e la tv a casa.

Il paese non è sempre stato così apatico come lo racconta Rosy Attinà. È pur sempre il posto dove sono nati Marco “Pietro” Perpiglia – partigiano protagonista della guerra civile in Spagna – e a sua moglie Giuseppina Russo, anche lei partigiana, alla quale è stata intitolata la sala consiliare del municipio. E dove il sindaco-calzolaio comunista Orlando Cassini nel febbraio del 1945 riuscì a difendersi da un gruppo di persone che, accompagnate dai carabinieri, entrarono a casa sua per vendicare l’attacco alla sede locale della Democrazia cristiana.

Uno scuolabus percorre i venti chilometri da Roccaforte del Greco per raggiungere la scuola di Chorio di San Lorenzo, settembre 2018. (Fabio Itri, Ulixes Pictures)

Roccaforte del Greco è stato segnato anche dalle guerre di mafia, come si legge nella Storia segreta della ‘ndrangheta del magistrato Nicola Gratteri e dello storico Antonio Nicaso. Qui l’11 ottobre 1994, per vendicare l’uccisione di un boss e di suo figlio, un commando di nove persone assalì un’abitazione con lanciagranate e bombe a mano, lasciando sotto le macerie un morto e alcuni feriti. Furono anche sparati trecento colpi di kalashnikov. Fu l’episodio più eclatante della cosiddetta faida di Roghudi, che negli anni novanta provocò una cinquantina di vittime tra due cosche contrapposte.

Tra il 1996 e il 2011, il comune è stato sciolto e commissariato tre volte per infiltrazioni mafiose. Quando si tornò finalmente al voto nel 2013, si presentò una sola lista, con il simbolo della Fiamma Tricolore, ma ai seggi andarono appena 61 persone su 594. Sui giornali la storia fu raccontata come quella del paese dove i cittadini non vanno alle urne, ma a raccontare un’altra versione dei fatti fu un anziano del posto: “Perché saremmo dovuti andare a votare una lista di fascisti?”.

Dopo altri due anni di commissariamento, nel 2015 i cittadini sono tornati alle urne e hanno eletto un sindaco di area Pd, Domenico Penna, che si è trovato costretto a fare i conti con la chiusura delle scuole. “Non è normale che dei bambini siano costretti a percorrere oltre cinquanta chilometri al giorno per frequentare la scuola, per di più su una strada su cui è fatta poca manutenzione e soggetta durante l’inverno a frane e smottamenti”, dice. A suo avviso, ai ragazzi di Roccaforte del Greco è sostanzialmente negato il diritto allo studio.

“Sono trattati come bambini di serie b”, aggiunge Attinà. L’amministrazione comunale ha chiesto all’ufficio scolastico regionale una deroga al tetto minimo di dieci studenti per riaprire. Un passaggio necessario per evitare che il paese, nel giro di pochi anni, si ritrovi definitivamente abbandonato.

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