Passa le giornate di afa di fine giugno nel suo giardino insieme alla compagna Michela e ai quattro cani, al numero 20 delle palazzine ex Cirio di Mondragone, in provincia di Caserta. I condomini sono stati dichiarati zona rossa dal 22 giugno, dopo che all’interno della struttura è stato individuato un focolaio di coronavirus, uno dei quindici ancora attivi in Italia. Gianfranco Esposito, 52 anni, vive nel complesso residenziale dal 2007 ed è in affitto, come la maggior parte delle 750 persone che risiedono nei cinque palazzi costruiti alla fine degli anni settanta dall’ex amministratore delegato della Cirio e proprietario del Napoli, Corrado Ferlaino. Dopo le proteste violente degli ultimi giorni contro la comunità bulgara della zona, nelle palazzine sembra essere tornata la calma, anche se c’è timore che possano scoppiare nuovi disordini.

“Mi sono trasferito qui perché l’affitto è basso, un appartamento con il giardino costa 250 euro al mese”, racconta. Esposito, come tutti gli abitanti degli appartamenti ex Cirio, è stato sottoposto al tampone una settimana fa. È risultato negativo al test. Né lui né la sua compagna hanno contratto il covid-19, ma dovrà rimanere in casa fino al 7 luglio. “Abbiamo i militari anche dentro alla lavatrice”, scherza, riferendosi al fatto che la zona rossa è delimitata con delle transenne e che da qualche giorno è arrivato anche l’esercito a presidiare i varchi, dopo l’esplosione di tensioni tra i mondragonesi e la comunità bulgara residente nei palazzi, che ha protestato contro l’istituzione della zona rossa perché gli impediva di lavorare. Esposito fa il rappresentante di materiale informatico e dall’arrivo della pandemia in Italia a inizio marzo ha smesso di lavorare. Come molti di quelli che vivono nei palazzi ex Cirio non vede l’ora che la crisi finisca per riprendere la sua attività.

Salvini ha deciso di sfidare il governatore della Campania De Luca proprio a Mondragone in vista delle regionali di settembre

“Tutto è cominciato sabato scorso, quando una donna che vive nel palazzo è andata a partorire all’ospedale di Sessa Aurunca”, racconta. La signora, di nazionalità bulgara, è stata sottoposta al test ed è risultata positiva.

Nello stesso giorno un uomo è andato nello stesso ospedale con i sintomi del covid-19 ed è risultato positivo al test. Per questo motivo è scattata l’allerta nel caseggiato dove risiedeva la donna: tutti gli abitanti dei palazzi sono stati sottoposti al tampone e contestualmente l’area è stata dichiarata zona rossa dalla regione Campania. Nessuno degli abitanti può uscire o entrare.

I 43 positivi al test, tutti asintomatici, sono stati trasferiti nei giorni scorsi all’ospedale di Maddaloni, dove sono stati messi in isolamento. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca, intanto, ha deciso che le palazzine siano isolate per almeno quindici giorni, nonostante la maggior parte degli abitanti fosse risultata negativa al tampone. E sono stati disposti dei test a tappeto su tutta la popolazione di 30mila abitanti della cittadina del litorale domizio attraverso delle unità mobili. Per il momento è stato individuato solo un altro caso di covid-19 all’esterno della zona rossa, un bracciante che probabilmente aveva avuto contatti con residenti delle palazzine Cirio. Dall’inizio dell’epidemia di coronavirus in Italia, in Campania sono stati registrati 4.660 casi di coronavirus e 431 morti, una percentuale molto bassa delle 35mila vittime causate dalla malattia in Italia.

Il 27 giugno De Luca ha annunciato che non sono risultati ulteriori casi di covid-19 al termine dello screening sanitario nei palazzi cominciato il 22 giugno e che i test saranno ripetuti alla fine del periodo di quarantena, prima di riaprire la zona rossa. “Sino ad ora, sui 400 tamponi processati dei circa mille cui si sono sottoposti volontariamente i cittadini, nessun caso positivo”, ha detto De Luca.

La crisi sembrerebbe così essere avviata alla chiusura, almeno dal punto di vista sanitario, ma invece si continua a parlare di Mondragone per almeno due motivi: le tensioni scoppiate nei giorni scorsi tra la comunità bulgara dei palazzi ex Cirio e gli altri residenti; e la campagna elettorale del leader della Lega Matteo Salvini, che ha deciso di sfidare il governatore della Campania Vincenzo De Luca, in vista delle regionali di settembre, annunciando una visita proprio a Mondragone il 29 giugno e a Castel Volturno, il giorno successivo. Secondo gli ultimi sondaggi, il governatore uscente De Luca, che sarà il candidato del centrosinistra, è in vantaggio di sei punti percentuali rispetto al candidato del centrodestra Stefano Caldoro, ma nelle scorse elezioni politiche la Lega di Salvini ha ottenuto ottimi risultati proprio a Mondragone.

I bulgari di Mondragone
In tutta Italia l’epidemia scatenata dal nuovo coronavirus è stata una specie di macchina della verità, ha portato alla luce molte zone d’ombra: crisi sociali ed economiche che sono sistematicamente ignorate in tempi normali. È stato così anche a Mondragone, dove il focolaio di covid-19 nelle palazzine Cirio ha mostrato la drammatica realtà della comunità bulgara locale.

“Tutto il comparto agricolo nella provincia di Caserta si regge sulla manodopera straniera”

Nella cittadina campana i bulgari sono la prima comunità di stranieri, seguiti dagli ucraini e dai romeni. I residenti sono circa un migliaio, a cui si aggiunge un migliaio di stagionali (secondo le stime della Cgil) che arrivano nella stagione estiva per lavorare nei campi di pomodori, di fagiolini e di meloni della zona, per poi fare ritorno a casa alla fine del raccolto. Essendo cittadini comunitari, gli immigrati bulgari non hanno bisogno di particolari visti, si muovono senza problemi attraverso la frontiera ma, una volta in Italia, finiscono per diventare dei veri e propri fantasmi. Pur avendo i documenti, infatti, rimangono senza contratto di lavoro e senza residenza e non compaiono in nessun registro e in nessuna anagrafe.

In Italia ci si è accorti di loro perché nei primi giorni d’isolamento delle palazzine ex Cirio di Mondragone, alcuni si sono sottratti ai controlli e hanno lasciato la zona rossa per andare a lavorare, mentre altri sono scesi in strada per protestare contro la chiusura. Questo ha provocato reazioni violente degli abitanti della zona e ha alimentato un sentimento di ostilità verso l’intera comunità, sfociato in veri e propri scontri. Ma i bulgari vivono a Mondragone e in molte altre città meridionali da almeno dieci anni. “Tutto il comparto agricolo nella provincia di Caserta si regge sulla manodopera straniera, in alcune produzioni si tratta soprattutto di donne. In molti casi sono impiegati anche dei minorenni”, spiega Tammaro Della Corte, sindacalista della Flai Cgil di Caserta.

“Lavorano fino a dodici ore al giorno nei campi, gli uomini guadagnano tra i 30 e i 40 euro, le donne anche meno. Molto al di sotto degli standard previsti dal contratto nazionale di categoria. Pagano almeno cinque euro al giorno a un caporale che fa da intermediario con il datore di lavoro”, continua Della Corte. La mattina alle 4 i pulmini dei caporali li vengono a prendere alle rotonde, per esempio davanti al palazzo ex Idac di Mondragone, e li portano in campagna.

“Nella maggior parte dei casi non hanno un contratto di lavoro, in alcuni casi sì, ma risultano molte meno ore rispetto a quelle lavorate. È un misto di lavoro nero e lavoro grigio”, continua Della Corte. La situazione è nota alle autorità, ma nonostante questo lo sfruttamento della manodopera straniera da queste parti è la norma. Anche durante il lockdown, mentre nel resto del paese le attività erano sospese e limitati gli spostamenti per tutti i cittadini, a Mondragone i pulmini dei caporali non si sono fermati. Questo può avere di sicuro accresciuto le possibilità che la malattia si diffondesse.

C’è un ulteriore elemento che va considerato: se anche ci fossero stati dei casi di covid-19 tra la popolazione bulgara non residente è possibile che non siano stati registrati dalle autorità sanitarie. A sollevare la questione Sergio Serraino, coordinatore dell’ambulatorio di Emergency a Castel Volturno. “Spesso vengono da noi sopratutto donne e bambini di nazionalità bulgara. Hanno i documenti, ma non hanno la residenza, quindi non hanno un medico di famiglia che li segua”, spiega Serraino.

Il 20 per cento degli utenti dell’ambulatorio di Emergency è costituito da immigrati dell’Europa orientale, una parte di questi sono bulgari di Mondragone. In Italia tutti gli stranieri, anche gli irregolari, hanno diritto all’assistenza sanitaria, ma molti di loro di fatto non hanno accesso al servizio sanitario nazionale, a meno che non vadano al pronto soccorso. “Garantire un medico di base per tutti è una misura necessaria, anche a chi non ha la residenza o a chi è irregolare, soprattutto in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo”, conclude il coordinatore di Emergency.

Quartieri ombra e proteste
L’ostilità verso i bulgari di Mondragone e in particolare verso quelli che abitano nei palazzi Cirio e nella zona dell’ex macello sul lungomare non è un fenomeno nuovo, secondo Marco Pagliaro, avvocato penalista e attivista della rete Resistenza democratica di Mondragone. Come numerosi altri edifici e complessi residenziali in altre parti d’Italia le palazzine Cirio dovevano essere delle residenze per la classe media quando sono state costruite negli anni settanta e invece si sono trasformate con il passare del tempo in ghetti, territori in cui convive la criminalità organizzata e la marginalità sociale, con lo stigma che ne consegue e che alimenta miti e incomprensioni tra i locali e gli immigrati.

Dal quartiere Gad di Ferrara all’Hotel house di Porto Recanati, la storia sembra essere sempre la stessa: una speculazione edilizia rivolta al ceto medio-alto negli anni settanta in pochi anni si è tramutata in un fallimento immobiliare. Gli appartamenti si sono svalutati e sono stati affittati a partire dagli anni ottanta e novanta dai vecchi proprietari ai lavoratori sottopagati di origine straniera. Queste zone sono diventate dei ghetti all’interno del tessuto cittadino e nella città hanno cominciato a essere il simbolo di tutto quello che non funziona. Sono rappresentati nei discorsi pubblici come dei buchi neri, delle ombre da cui si può essere risucchiati e in cui gli stranieri diventano dei mostri, a cui sono attribuite le caratteristiche peggiori. A questa narrazione contribuisce anche buona parte della stampa, che rafforza questa immagine.

“Le palazzine Cirio dovevano essere un fiore all’occhiello della città, strutture all’avanguardia per famiglie facoltose di Napoli che venivano in vacanza a Mondragone. C’è stato un passato glorioso del litorale domizio in cui gli Agnelli attraccavano con lo yacht al villaggio Coppola e Versace faceva le sfilate all’hotel Pinetamare di Castel Volturno”, racconta Pagliaro. Molti di questi edifici però erano abusivi e sorgevano in aree protette.

Negli anni ottanta con il terremoto dell’Irpinia e il bradisismo dei paesi della fascia flegrea, migliaia di persone che avevano perso le case nel sisma sono state sfollate tra Mondragone e Castel Volturno. “Da lì cominciò il degrado, la zona perse il suo lustro, gli sfollati provenivano da territori problematici. È dagli anni ottanta che la zona dei palazzi Cirio a Mondragone è diventata una zona franca, dove si svolge lo spaccio e diverse altre attività criminali, i palazzi non sono occupati, gli immigrati e gli stessi italiani pagano affitti molto bassi a proprietari che in molti casi non sono nemmeno di Mondragone”, continua Pagliaro. Spaccio e prostituzione nelle aree limitrofe ai palazzi, insieme alla forte presenza di immigrati, hanno contribuito a rendere il quartiere malfamato.

Per Pagliaro le amministrazioni locali non hanno mai voluto affrontare un problema che è innanzitutto sociale. L’emergenza sanitaria è stata solo un’ulteriore miccia a cui si aggiunge ora anche la campagna elettorale per le regionali di settembre. “Due anni fa un ragazzo aveva sparato a un immigrato bulgaro, che si è salvato per miracolo. Inoltre ci sono state delle baby gang mondragonesi che facevano dei raid punitivi contro gli immigrati”, continua Pagliaro.

Per questo è bastato che gli immigrati bulgari scendessero in piazza il 25 giugno, violando la zona rossa, perché si scatenassero le rivolte anti-immigrati tra i mondragonesi, che sono arrivati a evocare la pulizia etnica contro rom e bulgari. Ma ad animare le proteste erano soprattutto dei rappresentanti di piccolo calibro della malavita locale, sostenuti da militanti della destra e da alcuni ultrà. È stato incendiato un furgone, sono state vandalizzate delle auto con le targhe straniere e ci sono stati episodi violenti contro gli immigrati. Dai balconi delle palazzine, gli immigrati hanno lanciato delle sedie contro chi manifestava. Un conflitto potenzialmente esplosivo.

Secondo il quotidiano Il Mattino, durante le proteste c’erano delle persone che erano state coinvolte nella strage di Pescopagano, avvenuta il 24 aprile del 1990, un raid punitivo organizzato dal più potente clan della città, il clan La Torre, contro gli africani della zona, nella quale morirono sei persone e otto rimasero ferite. La camorra non è più forte come un tempo da queste parti, ma durante le manifestazioni qualcuno l’ha evocata, quasi rimpiangendo il tempo in cui il controllo del territorio era affidato ai boss locali.

Lia Pagliaro, una cittadina mondragonese, è stata testimone di un attacco contro un ragazzino bulgaro durante gli scontri del 25 giugno a via Maqueda. Due persone in motorino hanno dato un colpo in testa a un ragazzino straniero con un casco e poi sono scappate, nessuno è intervenuto in soccorso del giovane, che sarebbe stato ferito. Pagliaro che si trovava a passare ha cercato di aiutarlo, ma per questo è stata aggredita e minacciata dai manifestanti.

La dinamica ricorda molto le rivolte scoppiate negli ultimi anni nelle periferie romane contro i centri per migranti e i campi rom da Tor Sapienza a Torre Maura, in cui presunti comitati di cittadini organizzavano proteste a uso e consumo della politica nazionale che le ha trasformate spesso in palcoscenici e spot elettorali. Anche in questo caso il rischio è che si distolga l’attenzione dalla questione principale: le condizioni di sfruttamento della manodopera straniera impiegata nel sistema agricolo in Campania e nel basso Lazio, e i rischi che comportano per la salute di tutti.

Sergio Nazzaro, giornalista e scrittore mondragonese, riporta l’attenzione sul tema: “I rom, al centro del focolaio, sono stati considerati gli untori. Ma non sono untori quando vengono sfruttati nei campi dagli italiani? Quanti di loro hanno un vero contratto stagionale? Quanti di loro hanno un regolare contratto di affitto nei palazzi ex Cirio? Quanti proprietari di casa che affittano a posto letto, pagano tasse e tari? Quanto fa guadagnare lo sfruttamento di tanti a pochi italiani senza scrupoli?”. Domande a cui nessuno sembra voler rispondere.

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