David Gray, Afp

Gli indigeni australiani hanno espresso il 15 ottobre la loro rabbia e delusione dopo che la maggioranza bianca del paese ha respinto una riforma che prevedeva il riconoscimento dei popoli indigeni nella costituzione.

I leader aborigeni hanno chiesto una “settimana di silenzio” dopo il fallimento del referendum, mentre il primo ministro Anthony Albanese ha invitato il paese a ritrovare “uno spirito di unità”.

Con il 78 per cento delle schede scrutinate, circa il 61 per cento degli elettori ha votato “no” alla proposta di riconoscere gli abitanti originari del paese nella costituzione del 1901.

Gli elettori hanno anche respinto la creazione di un consiglio consultivo che avrebbe dato voce agli indigeni sulle questioni che li riguardano direttamente.

Gli aborigeni e gli indigeni dello stretto di Torres sono 984mila, pari al 3,8 per cento della popolazione australiana.

Secondo una coalizione di associazioni per i diritti degli aborigeni, milioni di elettori australiani hanno perso l’opportunità di rimediare alla “brutale espropriazione” inflitta agli indigeni: “Ora è il momento del silenzio, del lutto e di una profonda riflessione sulle conseguenze del voto”.

“Abbiamo chiesto un riconoscimento ed è stato rifiutato. Ora sappiamo qual è il nostro posto in Australia”.

“Noi aborigeni siamo qui da 60mila anni e continueremo a esserci”, ha dichiarato all’Afp l’elettrice aborigena Shirley Lomas. “La maggioranza ha votato ‘no’ perché teme il cambiamento. La maggior parte dei bianchi non conosce neanche un aborigeno”.

Gli indigeni hanno dovuto aspettare a lungo per ottenere il diritto di voto (nel 1962), il diritto di possedere le loro terre ancestrali e il diritto di essere eletti in parlamento.

“La riconciliazione è morta”

I sostenitori del “sì” consideravano il referendum un modo per unire il paese e sanare le ferite inflitte ai popoli indigeni all’epoca della colonizzazione.

La campagna elettorale ha invece evidenziato le profonde divisioni che ancora attraversano la società australiana a più di due secoli dall’inizio della colonizzazione britannica.

Albanese ha affermato che il suo governo continuerà a lavorare all’inclusione degli indigeni, ma le opzioni disponibili sono al momento poco chiare.

“La riconciliazione è morta”, ha dichiarato l’attivista e accademica aborigena Marcia Langton.

A Redfern, un sobborgo di Sydney in cui vivono molti aborigeni, una decina di persone ha partecipato a una cerimonia tradizionale di purificazione e guarigione in cui sono state bruciate foglie di eucalipto.

Uno di loro, Shane Sturgiss, ha detto che la bocciatura del referendum gli ha “spezzato il cuore”: “Ora è il momento di piangere, ma poi ricominceremo a batterci per i nostri diritti”.

I leader della campagna per il “no” hanno alimentato i timori sul ruolo e sull’efficacia del consiglio consultivo degli indigeni, affermando che avrebbe “aumentato la burocrazia”.

I social network sono stati inondati dalla disinformazione. Molti utenti hanno scritto che la vittoria del “sì” avrebbe portato alla confisca delle terre e creato un sistema di apartheid. Altri hanno denunciato una cospirazione delle Nazioni Unite.

Il leader dell’opposizione conservatrice Peter Dutton, contrario al referendum, ha espresso la sua soddisfazione. “Il fallimento del referendum è una bellissima notizia per il paese”.

Gli aborigeni australiani, i cui antenati si stabilirono sull’isola-continente circa 60mila anni fa, sono oggi riconosciuti come una delle culture viventi più antiche del mondo.

Ma 235 anni dopo l’arrivo dei primi coloni britannici, hanno un’aspettativa di vita inferiore di otto anni rispetto ai bianchi, sono più poveri, finiscono più spesso in prigione e hanno meno accesso all’istruzione.