Attivisti per i diritti dei migranti davanti al tribunale di Kalamáta, il 21 maggio 2024. (Angelos Tzortzinis, Afp)

Il 21 maggio il tribunale di Kalamáta, nel sud della Grecia, ha assolto nove egiziani accusati di essere coinvolti in uno dei più letali naufragi di migranti nel Mediterraneo, precisando che tutte le accuse sono decadute.

Il processo si era aperto poche ore prima.

A quasi un anno dal naufragio, che ha causato più di ottanta morti e circa seicento dispersi, i nove egiziani, sospettati di essere gli scafisti, erano finiti sotto processo per “aver favorito l’arrivo di migranti irregolari” e per “omicidio di massa causato da negligenza”.

Accusati anche di appartenere a un’organizzazione criminale, erano in detenzione preventiva da undici mesi e rischiavano pene fino all’ergastolo.

Prima della sentenza, alcuni attivisti per i diritti dei migranti si erano radunati davanti al tribunale scandendo slogan e sollevando cartelli.

Dalia Abdel Megui, zia di uno degli imputati, giunta dall’Italia, aveva dichiarato all’Afp che il nipote è innocente: “È venuto in Europa in cerca di un futuro migliore, tutto qui. Non è un criminale”.

L’affondamento dell’Adriana, un vecchio peschereccio sovraccarico, nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2023 al largo delle coste greche ha sollevato molti interrogativi sulle operazioni di salvataggio condotte dalle autorità portuali greche.

Centoquattro migranti erano sopravvissuti al naufragio, avvenuto in acque internazionali a circa novanta chilometri dalla cittadina di Pylos. L’imbarcazione, salpata dalla Libia, era diretta in Italia.

I soccorritori avevano trovato 82 corpi, ma secondo le Nazioni Unite a bordo c’erano più di 750 persone, tra cui quasi 350 pachistani.

All’apertura del processo gli avvocati della difesa avevano affermato che i nove egiziani, di età compresa tra i 21 e i 37 anni, “sono usati come capri espiatori per coprire le responsabilità delle autorità portuali”.

“Sono stati arrestati appena ventiquattr’ore dopo essere sopravvissuti al naufragio sulla base di testimonianze ottenute dalla polizia con metodi dubbi”, avevano aggiunto.

Gli avvocati contestavano inoltre la giurisdizione del tribunale greco, in quanto il naufragio è avvenuto in acque internazionali.

“C’è il rischio che nove sopravvissuti siano giudicati colpevoli sulla base di prove incomplete e dubbie”, aveva affermato Judith Sunderland, vicedirettrice dell’ong Human rights watch (Hrw) per l’Europa.

Accuse alla guardia costiera

Le associazioni per i diritti dei migranti e alcuni mezzi d’informazione internazionali hanno inoltre puntato il dito contro la guardia costiera greca, che è intervenuta in grave ritardo. Secondo alcuni sopravvissuti ha anche cercato di rimorchiare il peschereccio, causandone il rovesciamento.

Il primo ministro Kyriakos Mītsotakīs ha definito “ingiuste” le accuse rivolte alle autorità portuali greche.

È comunque in corso un’inchiesta sulle responsabilità della guardia costiera.