Il 1 ottobre sono entrati in sciopero i lavoratori portuali dei quattordici principali porti della costa est degli Stati Uniti. Il sindacato si è detto pronto a “portare avanti l’agitazione fino a quando sarà necessario”.

“Lotteremo fino a quando sarà necessario per ottenere i salari e le tutele sociali che i nostri iscritti meritano”, ha avvertito Harold Daggett, capo del sindacato Ila, che rappresenta 85mila portuali.

Lo sciopero è cominciato dopo il fallimento delle trattative dell’ultimo minuto tra il sindacato e la Us Maritime Alliance, che rappresenta i datori di lavoro del settore portuale.

La sera del 30 settembre le parti avevano annunciato delle trattative dell’ultimo minuto per cercare di evitare lo sciopero, che però sono fallite. Lo scontro, incentrato sui salari e sull’automazione, era cominciato nella primavera scorsa.

Il sindacato ha quindi fatto partire lo sciopero alla scadenza, alla mezzanotte del 30 settembre, del contrato di sei anni dei lavoratori dei porti della costa est e del golfo del Messico.

La Us Maritime Alliance rappresenta i datori di lavoro di trentasei porti che vanno dal Maine (nordest) al Texas (sud), passando per la Florida (sudest).

L’Ila ha invece 85mila iscritti negli Stati Uniti, compresi i lavoratori di fiumi e laghi.

Tra 4,5 e 7,5 miliardi di dollari

Il contratto in scadenza riguardava 25mila lavoratori di quattordici grandi porti, tra qui quelli di Boston, New York, Philadelphia, Baltimora, Miami e Houston.

Lo sciopero potrebbe avere conseguenze sul trasporto di molti prodotti, tra cui idrocarburi e prodotti agricoli.

“I nostri iscritti meritano di essere compensati per l’importante lavoro che svolgono per garantire il commercio marittimo degli Stati Uniti”, ha affermato il 30 settembre l’Ila, ricordando i “miliardi di dollari di profitti realizzati dai datori di lavoro”.

Secondo gli analisti della Oxford Economics, ogni settimana di sciopero potrebbe costare all’economia statunitense tra i 4,5 e i 7,5 miliardi di dollari.