Il 27 novembre è tornata la calma a Islamabad, la capitale del Pakistan, dove la polizia ha annunciato di aver arrestato quasi mille sostenitori dell’ex primo ministro Imran Khan, arrivati in città per chiedere la sua scarcerazione.

Gli scontri hanno causato la morte di quattro paramilitari, uccisi dai manifestanti il 26 novembre mentre si trovavano a bordo di un veicolo. La sera del 25 novembre la polizia aveva denunciato la morte di un agente, ucciso alle porte di Islamabad mentre i sostenitori di Khan marciavano verso la capitale.

Il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), il partito di Khan, ha annunciato il 27 novembre di aver sospeso la sua iniziativa di protesta, anche se la sera prima l’ex premier aveva invitato i suoi sostenitori a convergere in massa verso la D-Chowk, la grande piazza che si trova vicino ai principali edifici governativi.

La polizia ha affermato che “954 persone sono state arrestate, 610 delle quali nella giornata del 26 novembre”, aggiungendo che continuerà ad attuare “una politica di tolleranza zero, perché manifestare è una cosa e partecipare ad attività terroristiche un’altra”.

I sostenitori di Khan erano arrivati nella capitale dalle province vicine, soprattutto dal Punjab, dove l’ex premier ha vissuto a lungo, e dalla Khyber-Pakhtunkhwa, roccaforte del Pti, su appello di Bushra Bibi, la moglie appena scarcerata.

Il 27 novembre il ministro dell’interno Mohsin Naqvi ha annunciato che le scuole, rimaste chiuse per tre giorni, riapriranno il 28 novembre e che lo stesso giorno sarà ripristinata la rete internet.

L’ong Commissione pachistana dei diritti umani (Hrcp) ha auspicato “l’avvio di un dialogo politico costruttivo tra governo e opposizione”.

Amnesty international ha invece denunciato un “uso illegale ed eccessivo della forza”, accusando la polizia di aver sparato per tutto il giorno gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i manifestanti.

“Detenzione arbitraria”

Khan, 72 anni, ex stella del cricket, è arrivato al governo nel 2018 ed è stato deposto da una mozione di sfiducia nell’aprile 2022. Il suo arresto il mese dopo aveva scatenato manifestazioni di protesta e violenze in molte aree del paese, a cui le autorità avevano reagito con arresti di massa dei suoi sostenitori.

Nel gennaio scorso Khan è stato condannato a dieci anni di prigione per aver divulgato documenti riservati e a quattordici anni di prigione per corruzione.

A luglio un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha però chiesto la sua liberazione, definendo la detenzione “arbitraria”.