Gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dall’Unesco, sostenendo che l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura è prevenuta nei confronti di Israele e promuove cause “divisive”.
Questa è la seconda volta che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, decide di lasciare l’istituzione dal 2018. Gli Stati Uniti erano rientrati nel 2023, sotto l’amministrazione del democratico Joe Biden. La direttrice generale dell’Unesco, la francese Audrey Azoulay, ha dichiarato un “profondo rammarico” per questa decisione, sebbene fosse “prevista”.
L’Unesco si era “preparata” ed “è più tutelata dal punto di vista finanziario” rispetto ad altre agenzie delle Nazioni Unite, ha affermato, osservando che il contributo statunitense di 75 milioni di dollari all’anno rappresenta solo l’8 per cento del bilancio totale dell’organizzazione.
La decisione di Washington, che entrerà in vigore alla fine del 2026, fa seguito alla richiesta avanzata da Donald Trump a febbraio di rivedere gli impegni degli Stati Uniti nei confronti di diversi organismi delle Nazioni Unite. Per Washington, “la continua partecipazione degli Stati Uniti all’Unesco non è nell’interesse nazionale”, ha dichiarato la portavoce del dipartimento di stato Tammy Bruce in una nota.
“L’Unesco lavora per promuovere cause sociali e culturali divisive” e sostiene “una tabella di marcia ideologica e globalista per lo sviluppo internazionale, in contraddizione con la nostra politica estera che mette al primo posto gli interessi nazionali”, ha spiegato.
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Bruce ha anche sottolineato quella che, a suo dire, è la posizione anti-israeliana dell’organismo nel riconoscere la Palestina come stato. La decisione dell’Unesco di ammettere lo “stato di Palestina” come componente è altamente problematica, contraria alla politica degli Stati Uniti e ha contribuito alla proliferazione della retorica anti-israeliana all’interno dell’organizzazione”, ha dichiarato Bruce.
L’amministrazione si è anche opposta al riconoscimento da parte dell’Unesco dei siti del patrimonio culturale della Cisgiordania occupata e di Gerusalemme Est come palestinesi. Secondo Azoulay, le ragioni addotte dagli Stati Uniti “sono le stesse di sette anni fa”, anche se, ha aggiunto, “la situazione è profondamente cambiata, le tensioni politiche si sono attenuate e l’Unesco costituisce oggi un raro forum di consenso su un multilateralismo concreto e orientato all’azione”.
Le affermazioni di Washington “contraddicono la realtà degli sforzi dell’Unesco”, ha aggiunto, “soprattutto nel campo dell’educazione all’olocausto e della lotta all’antisemitismo”.
La fonte dell’Unesco ha descritto la mossa degli Stati Uniti come “puramente politica, senza alcuna base concreta”. L’organizzazione era già stata “costretta” a fare a meno dei fondi statunitensi per diversi anni dopo il ritiro di Washington nel 2017, ha dichiarato la fonte all’Afp. L’Unesco si è adattata, ma è necessario trovare nuove fonti di finanziamento.
Trump non è stato il primo a ritirare gli Stati Uniti dall’Unesco. Il presidente Ronald Reagan pose fine all’adesione degli Stati Uniti negli anni ottanta, affermando che l’agenzia era corrotta e filo-sovietica. Gli Stati Uniti sono rientrati sotto la presidenza di George W. Bush.