07 giugno 2015 11:01
Roca Vecchia, Lecce, aprile 2013. (Antonio Di Cecco)

Viaggi per mare e letteratura: due strumenti per conoscere il mondo. Ma in quanti modi si può raccontare il mare? E soprattutto, esiste un legame tra l’ispirazione letteraria e la vita sull’oceano?

I grandi scrittori di mare hanno raggiunto alcune tra le vette più alte della storia letteraria. I nomi di Herman Melville, Joseph Conrad, Robert Louis Stevenson e Jack London sono tra i più pesanti della narrativa mondiale.

Per ognuno di loro il viaggio per mare ha avuto un significato diverso. Per Melville il mare è la ricerca del sacro, per Conrad la risposta alla malinconia, per Stevenson il mistero, per London l’avventura pura.

Accanto a questi fari che ci orientano tra scritti e relazioni di viaggi, molti autori hanno dato vita all’ininterrotto racconto di ciò che sta dietro l’orizzonte, dei limiti della geografia, di epiche sfide alla morte.

Una storia che va da Omero ai pirati contemporanei, passando per esploratori, marinai, pellegrini, migranti, viaggiatori, capitani.

Sono arrivati in libreria due libri che si aggiungono al catalogo di esperienze di mare. Il primo è Raccontare il mare (Iperborea) dello scrittore svedese Björn Larsson, già autore, tra gli altri, di La saggezza del mare e La vera storia del pirata Long John Silver. Raccontare il mare è sostanzialmente una guida ad altri libri di mare. È composto da scritti già pubblicati e testi inediti.

Il secondo libro si intitola Due anni sull’oceano (Castelvecchi, traduzione di F. Lucchesi) di Richard Henry Dana. Qui si racconta del viaggio di Richard Dana del 1834, sul brigantino Pilgrim, da Boston alla California, doppiando Capo Horn. Il libro piacque addirittura Melville, che scrisse: “Per avere un’idea esatta di Capo Horn, bisogna leggere il libro ineguagliabile del mio amico Richard Dana”.

Raccontare il mare in cui si vive

Secondo Björn Larsson sono pochi gli scrittori che hanno parlato del mare, non in quanto simbolo della condizione umana e della libertà “ma proprio come luogo in cui si vive”.

Nelle sue ricerche, scrive, a parte “Conrad, Stevenson, London, Melville, ho trovato ben poco”. In Raccontare il mare è contenuta la sua prefazione al primo scritto autobiografico di Joseph Conrad, Lo specchio del mare.

Larsson annota: “Per i terraioli, si sa, il mare è soprattutto uno spazio di sogno e di miti. È il simbolo quasi parodistico della libertà e della partenza verso esotici lidi. Per il marinaio esperto, invece, il mare è un luogo che più concreto di così non potrebbe essere, un luogo di lavoro dove l’errore di giudizio, la negligenza e la leggerezza hanno la loro immediata punizione”.

Larsson predilige gli scrittori che raccontano la vita concreta del mare, diffida di chi lo ritrae in modo idealizzato. Di Conrad ama il tono non retorico e il realismo: “Conrad ci mette in guardia dal pericolo di amare il mare, arrivando perfino a dire che chi ama il mare è uno stupido. Il suo rapporto personale con la vita marinara è di una concretezza puntigliosa, ben lontana dalla mitologia degli orizzonti infiniti”.

La finta ispirazione di Guy de Maupassant

A parte Conrad, i capitoli di Raccontare il mare sono dedicati a libri di autori poco noti, o di libri meno frequentati di grandi autori. Nel romanzo di Guy de Maupassant Sull’acqua (uno dei libri preferiti da Lev Tolstoj), secondo Larsson, “il lettore avido di storie di navigazione può dirsi soddisfatto. Regna un clima di autentica evasione marinara, resa perfettamente credibile e percettibile dalla scrittura”.

Anzio, Roma, maggio 2012. (Antonio Di Cecco)

Poco importa dunque che la crociera narrata non abbia mai avuto luogo e che “la maggior parte delle riflessioni sul mondo, che Maupassant finge ispirate da quel che vede o vive al momento, erano già state pubblicate altrove”.

D’altra parte si sa che la magia che alimenta la leggenda dei viaggi per mare è l’impossibilità di verificare la veridicità di tempeste infernali, di onde fuori misura, di descrizioni di isole raggiunte, mostri marini e incontri con civiltà improbabili.

Erskine Childers: senza che succeda niente

Un classico della narrativa di navigazione a vela è L’enigma delle sabbie (Lantana editore, traduzione di Taddeo Roccasalda) di Erskine Childers, del 1903, tratto da un viaggio tra le isole della Frisia tedesca a bordo del veliero Vixen. L’enigma delle sabbie è il solo libro di Erskine Childers.

Secondo Björn Larsson il successo del romanzo non è dato dai protagonisti, senza grande spessore letterario, né dalla trama “forse non si resta del tutto delusi, però ci si domanda se il motore della trama meritasse tanta paura e tanto coraggio” né dallo stile: “Si può scommettere che nessuno vi riconoscerebbe uno stile particolare”.

Il miracolo del libro di Erskine Childers è nell’atmosfera: “Quel che è notevole ne L’enigma delle sabbie e che raramente ho trovato in altri romanzi, è che il lettore è tenuto col fiato sospeso senza che succeda quasi niente, e soprattutto niente di spettacolare. È insomma un romanzo di suspense senza suspense”.

La rotta di Cristoforo Colombo: persona comune

Nel 2010 Cristiano Spila ha curato un libro dal titolo Nuovi mondi. Relazioni, diari e racconti di viaggio dal XIV al XVII secolo (Bur). In questo volume sono raccolti testi di lettere, diari, memorie, relazioni di viaggi di navigatori ed esploratori, tra cui Colombo, Vespucci, Pigafetta, Verrazzano. Con la scoperta dell’America le mappe medievali, quelle in cui Dante aveva fatto naufragare Ulisse, affondarono. Scrive Spila: “La moderna letteratura di viaggio sembra, dunque, avere inizio, mitologicamente, con un naufragio. Il disastro ‘per acqua’ narrato da Dante segna, allegoricamente, il lentissimo affondamento della cultura geografica medievale”.

In seguito Colombo realizzerà “quel che Dante aveva solo sognato (e condannato): lo sconfinamento oceanico di Ulisse”.

Björn Larsson analizza Cristoforo Colombo: “Nulla sembra qualificarlo come una delle figure che segnano la storia. Intanto non è un bravo scrittore, anzi non è neanche scrittore. Quasi sempre, quando cerca di descrivere le bellezze inaudite delle isole che ha appena scoperto, è costretto a constatare che gli mancano le parole”.

Colombo scriveva per il re, non era certo attento a comporre letteratura. Per Cristiano Spila, addirittura: “La fortuna di Vespucci è dovuta alla qualità tutta ‘letteraria’ dei suoi scritti rispetto a quelli di Colombo”.

Il Colombo che restituisce Larsson è spogliato dalle leggende, è un uomo che non “aveva nulla di eccezionale”. Il suo unico merito è che “con il suo esempio, ha dimostrato che si possono compiere prodezze e realizzare grandi imprese senza essere persone fuori dal comune”.

Viaggiare intorno al mondo: pirati, carbonai e senza patria

Nel 2009 l’editore Barbès ha ripubblicato Relazione del primo viaggio intorno al mondo di Antonio Pigafetta. Cristiano Spila ha sottolineato l’importanza per la letteratura di quella prima circumnavigazione del globo: “L’impresa di Magellano narrata da Pigafetta è, per lo storico della letteratura, un’‘invenzione’ sublime: il mondo tutto è finalmente contenuto in un libro”.

Björn Larsson scrive del viaggio intorno al mondo di Joshua Slocum, uno dei rendiconti di navigazioni che come pochi altri gli hanno trasmesso “piacere della lettura” e “gioia di vivere”. Solo, intorno al mondo (Nutrimenti, traduzione di Amilcare Carpi de Rosmini) di Slocum affronta uno dei temi chiave di tutta la letteratura di mare: la solitudine.

Barcellona, Spagna, giugno 2014. (Antonio Di Cecco)

In Raccontare il mare si parla anche di pirateria moderna (cuore dell’inchiesta di Nicolò Carnimeo, nel libro Nei mari dei pirati, Longanesi); dei viaggi malinconici di Francesco Biamonti; di quelli del premio Nobel per la letteratura Harry Martinson; e non mancano pagine dedicate ad Álvaro Mutis, l’autore di Le tribolazioni di Maqroll il Gabbiere, personaggio che per Björn Larsson “incarna il tipo del vagabondo asociale, senza patria, senza passato e senza futuro”.

Il cerchio si chiude. Dopo tanti libri di mare, diari di bordo, romanzi e documenti, il personaggio di Álvaro Mutis appare come “il figlio degli eroi di Conrad dei nostri tempi”.

Due anni sull’oceano: a Natale un budino di susine

Nel 2013 l’editore Elliot ha pubblicato Il cuore dell’oceano di Nathaniel Philbrick, che narra la storia della baleniera Essex a cui è ispirato Moby Dick: “Anche se oggi quasi nessuno se ne ricorda, l’affondamento della baleniera Essex a opera di un capodoglio inferocito fu uno dei disastri nautici più famosi del XIX secolo. Quasi ogni bambino americano ne leggeva un resoconto a scuola. Fu l’avvenimento che ispirò la scena clou del Moby Dick di Melville. Ma il punto in cui termina il romanzo di Melville – l’affondamento della nave – fu semplicemente l’inizio dell’avventura dell’Essex” (dall’introduzione Nathaniel Philbrick).

Già nella prefazione di Due anni sull’oceano un secolo e mezzo fa, Richard Dana denunciava che tra tanti libri sui marinai “nessuno sia stato scritto da uno di loro” o da qualcuno “che abbia davvero vissuto con loro”. Il suo racconto a bordo del brigantino Pilgrim è quello di un marinaio: “Il mio intento è di presentare la vita del marinaio semplice in navigazione come veramente è, con tutte le luci e le ombre”.

Il libro è costruito sulla base degli appunti presi durante la navigazione. Due anni sull’oceano racconta il brillare delle costellazioni, il levarsi del sole, la disciplina di bordo, l’avvistamento di navi, di isole, di delfini o di uomini morti in mare. Il Natale è festeggiato con un budino di susine.

Il mare è suspense

Secondo quanto scrive Björn Larsson la navigazione è strutturalmente connessa alla letteratura. “Il lettore non si sente mai al sicuro, mai tranquillo, nemmeno all’ormeggio, che basta un cambio di vento improvviso per diventare pericoloso. La navigazione è quindi in sé una fonte di suspense, non a causa di ciò che succederà in futuro, ma a causa del momento, dell’attesa spasmodica di una boa, di una linea della costa intravista nella nebbia, di un cambio di colore nell’acqua”.

Siracusa, dicembre 2014. (Antonio Di Cecco)

Difficile sapere se Björn Larsson abbia letto o no Due anni sull’oceano. Di certo avrebbe apprezzato il racconto realista della vita a bordo. E avrebbe trovato conferma che la navigazione è sempre suspense. Basta leggere uno dei tanti capitoli del diario di Richard Dana che cominciano così: “Quella notte, dopo il tramonto del sole, il cielo apparve nero a sud e a est, e ci fu detto di stare bene all’erta. Prevedendo di essere chiamati durante la notte, andammo a dormire presto. Quando mi svegliai, verso la mezzanotte, vidi un mio compagno che, terminato il turno di guardia, era sceso sotto coperta e stava accendendo una luce. Disse che cominciava a soffiare da sudest, che il mare si stava agitando, e che aveva avvertito il capitano”.

Raccontare il mare come essere vivente

“L’amore che si ha per le navi”, ha scritto Joseph Conrad ” è profondamente diverso dall’amore che gli uomini sentono per qualsiasi altra opera delle loro mani […] perché non è macchiato dall’orgoglio del possesso”. Per Larsson si possono trattare le navi come esseri viventi. Infatti lo svedese ricorda: “In certe lingue, come l’inglese e lo svedese, si usa per le navi non il pronome neutro degli oggetti inanimati, ma il femminile”.

Guy de Maupassant invece parlava del vento come di un essere vivente: “Che personaggio, il vento per la gente di mare! Se ne parla come di un uomo, di un sovrano onnipotente, ora terribile, ora benevolo. È di lui che si parla di più tutti i giorni, è a lui che si pensa di più sia di giorno che di notte. Voi non lo conoscete affatto, gente di terra!”.

Di fatto, oltre alle navi e al vento si può raccontare il mare stesso come un essere vivente. Alcuni studiosi lo hanno fatto.

Un libro di Richard Carrington del 1960 si intitola Biografia del mare (lo pubblicò Garzanti nel 1971) e racconta l’evoluzione del concetto di mare e la sua influenza nella storia dell’umanità (nel libro si spiegano anche fenomeni come la salinità del mare, il colore, l’umidità, l’influenza sul clima). Più di recente è stato tradotto in italiano Storia del mare (Odoya) di John Mack in cui si mettono insieme le diverse esperienze delle civiltà che si sono relazionate con il mare.

Per conoscere il mondo si possono leggere libri o si può viaggiare. Più le descrizioni del mondo sono letterarie più i testi resisteranno alle tempeste della storia. Colombo ha scoperto l’America. Ma il nome rimasto al territorio è quello di Amerigo Vespucci. Scrive Cristiano Spila: “Vespucci non ha scoperto per primo queste terre, ma ha tuttavia il merito di averle descritte”.

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