22 luglio 2017 08:46

Da quando si è cominciato a parlare della vicenda sui presunti rapporti tra il comitato elettorale di Trump e il governo russo, c’è sempre stata una domanda fondamentale rimasta senza risposta: qual è la strategia difensiva del presidente? Per più di un anno è sembrato che semplicemente non ci fosse nessuna strategia.

Dall’estate del 2016, quando sono state diffuse le prime email rubate al comitato elettorale di Hillary Clinton e sono nati i primi sospetti di collusione con i funzionari del governo russo, Trump e i suoi collaboratori si sono limitati a negare tutto convinti che la vicenda, e i sospetti, sarebbero svaniti da soli.

In realtà è successo esattamente il contrario: le smentite poco credibili e le uscite maldestre di Trump e di tanti dei suoi collaboratori hanno fatto aumentare i sospetti dei giornali, che hanno cominciato a pubblicare a cadenza settimanale rivelazioni che smentivano una dopo l’altra le versioni della Casa Bianca; questo ha attirato ulteriormente l’attenzione dei parlamentari del congresso, compresi molti repubblicani, che un po’ alla volta si sono convinti che ci fosse qualcosa di losco sotto.

Poi è arrivato l’8 luglio 2017, quando il New York Times ha rivelato che durante la campagna elettorale Donald Trump Jr., il figlio maggiore del presidente, ha incontrato un’avvocata legata al governo russo che prometteva informazioni compromettenti su Clinton. A quel punto la giù fragile tesi dell’amministrazione Trump – se anche i russi hanno provato a interferire nella campagna elettorale, l’hanno fatto a nostra insaputa – è stata spazzata via, e la Casa Bianca si è decisa a cambiare la sua strategia difensiva.

Alcuni ricordano il caso di Richard Nixon, che nel 1974 commise una serie di errori di giudizio che lo portarono alle dimissioni

Da quello che sappiamo finora il nuovo approccio riflette lo stile e il carattere del presidente, aggressivo e per niente propenso a fare anche la minima concessione agli avversari. Secondo il New York Times, che cita fonti esperte su inchieste e procedimenti politici, gli avvocati della famiglia Trump hanno cominciato a scavare nel passato degli investigatori assunti da Robert Mueller, il procuratore speciale che conduce l’inchiesta federale sulle interferenze russe, nominato dal dipartimento di giustizia dopo che Trump ha licenziato il direttore dell’Fbi James Comey.

In particolare i legali stanno cecando prove di conflitti d’interessi che potrebbero essere usate per screditare Mueller e i suoi collaboratori agli occhi dell’opinione pubblica. Le principali linee di difesa riguarderebbero le donazioni ai candidati democratici e il rapporto di amicizia tra Mueller e Comey.

Secondo il New York Times, gli avvocati di Trump sono particolarmente preoccupati dalla possibilità che l’inchiesta di Mueller si allarghi fino a esaminare anche il controverso passato finanziario del presidente (Trump è l’unico presidente della storia a non aver reso nota la sua dichiarazione dei redditi). Uno sviluppo possibile considerando che per far luce sui rapporti tra la Casa Bianca e la Russia gli investigatori vorranno sicuramente capire quali sono gli interessi economici della famiglia Trump in Russia.

Il Washington Post, invece, ha rivelato che alcuni avvocati di Trump stanno esplorando anche altre strade per disinnescare l’inchiesta di Mueller, in particolare la possibilità che il presidente possa usare il suo potere di concedere la grazia per salvare i suoi familiari e collaboratori coinvolti nell’inchiesta.

Scontri al vertice
La strategia di difesa di Trump è destinata a inasprire ulteriormente lo scontro tra la Casa Bianca e gli altri poteri dello stato, e molti si chiedono se sia destinata a peggiorare la posizione del presidente. Alcuni sono tornati a ricordare il caso di Richard Nixon, che nel 1974 si dimise a causa dello scandalo Watergate, scoppiato quando si scoprì che due anni prima alcune persone legate al comitato nazionale repubblicano avevano piazzato delle microspie nella sede del comitato democratico.

Alla fine Nixon fu costretto a lasciare il suo incarico non tanto per via delle prove emerse nei suoi confronti ma perché commise una serie di errori nella sua strategia difensiva. In primo tempo diede per scontato che lo scandalo sarebbe scomparso da solo. E poi, quando capì che non sarebbe successo, mostrò disprezzo per gli altri poteri dello stato: nell’ottobre del 1973 si rifiutò di rispettare una sentenza di una corte d’appello federale che gli imponeva di consegnare i nastri delle conversazioni registrate nello studio ovale, e poi costrinse Archibald Cox, il procuratore speciale che conduceva l’indagine, a dimettersi. Tutte queste azioni fecero calare drasticamente la sua popolarità e portarono quasi tutti i parlamentari, compresi i suoi colleghi di partito, a voltare le spalle a Nixon; al punto che il presidente si dimise prima ancora che il congresso lo mettesse in stato d’accusa.

Osservando le ultime mosse della Casa Bianca, sembra che Trump si stia mettendo in una posizione non molto diversa da quella di Nixon. Come si è detto più di una volta, nelle inchieste sui presidenti entrano in gioco elementi, come l’indice di popolarità, il rapporto con il parlamento e con i leader del proprio partito, che possono pesare anche più delle accuse e delle prove nelle mani degli inquirenti.

Sconfitta sulla sanità
Nel frattempo Trump ha subito una delle sconfitte peggiori da quando è diventato presidente. I leader del Partito repubblicano al senato hanno deciso di ritirare definitivamente la proposta di cancellare e sostituire l’Obamacare, la riforma sanitaria voluta da Barack Obama. La proposta, che era stata approvata a maggio dalla camera, non ha mai realmente avuto possibilità di diventare legge, visto che era contestata sia da alcuni senatori dell’ala più conservatrice del partito (che volevano la cancellazione completa dell’Obamacare) sia da quelli più moderati (che la criticavano perché avrebbe lasciato milioni di persone senza cure mediche).

Trump ha espresso la sua frustrazione su Twitter sostenendo che i repubblicani dovrebbero procedere con l’abolizione dell’Obamacare anche senza avere un piano per sostituirla, e ha di nuovo minacciato di usare i suoi poteri presidenziali per sabotare il sistema attuale.

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Nel frattempo il presidente e il partito sono fermi anche sul resto del loro programma politico, a cominciare dalla riforma fiscale. Molti commentatori sostengono che le difficoltà politiche della nuova amministrazione sono dovuta alle difficoltà nel conciliare le promesse populiste di Trump e le ricette ultraconservatrici dei repubblicani.

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