19 aprile 2018 12:45

Le opinioni sugli attacchi agli impianti di armi chimiche in Siria sono abbastanza unanimi, in un paese altrimenti frammentato dalla guerra: sia per il regime sia per l’opposizione sono state solo azioni di corto respiro. Altro sentimento condiviso è che i siriani sono più che mai trattati come “dettagli” nell’equazione internazionale.

I mezzi d’informazione del regime
Le televisioni e le radio di stato si riferiscono all’attacco di Stati Uniti, Francia e Regno Unito come alla “tripla aggressione”, in ricordo della crisi di Suez nel 1956 – quando la Francia, il Regno Unito e Israele attaccarono l’Egitto guidato da Gamal Abd el Nasser – rimasta come triste memoria nell’intero mondo arabo in quanto simbolo del potere coloniale.

In particolare, gli Stati Uniti sono “stati messi sotto pressione e pagati dai petrodollari e da qualche politico pazzo, anche se manca qualsiasi prova dell’uso di armi chimiche da parte dell’eroico esercito siriano arabo”, afferma il Syria Times. Il giornale di regime anglofono – destinato all’opinione pubblica internazionale – cita la giornalista freelance dell’Associated Press Dale Gavlak, che avrebbe assicurato che sono stati “i terroristi della Ghuta a usare armi chimiche”. Già nel 2013 Dale Gavlak negava di aver scritto tali accuse, ma viene spesso citata – con virgolettati inventati – dalla stampa di regime, come spiega lei stessa al New York Times.

L’agenzia di stampa di stato Sana racconta la battaglia nella Ghuta mostrando scene di gioia e liberazione: un video dal titolo “Un’enorme manifestazione nel giorno dell’indipendenza e della sconfitta del terrorismo” fa vedere balli e canti di scolaresche a Damasco mentre altri video mostrano gli abitanti di Duma “ritrovare una vita normale dopo la liberazione dai terroristi”.

La stampa di opposizione
Per la stampa di opposizione online non c’è invece alcun dubbio sull’impiego di armi chimiche. Il settimanale Souriatna ritrae in una vignetta Bashar al Assad come un mezzo diavolo con il sangue alla bocca, la spilla con il simbolo delle armi chimiche sulla giacca e la valigetta da negoziatore in mano.

Un altro settimanale di opposizione, Hibrpress, mette in copertina il collo di Assad con il segno di uno schiaffo dato da Trump: Mounira Baloush scrive da Aleppo che con questi attacchi “la montagna ha partorito un topolino”. L’articolo rende l’idea della fatica siriana: “La scena si è illuminata per qualche ora e si è spenta molto velocemente con il minimo di perdite possibile. Il sipario del teatro siriano si può chiudere di nuovo, fino alla prossima volta, quando Assad userà le armi chimiche contro un’altra città”.

La propaganda del regime aggiunge l’offesa alla sofferenza
Nasser al Sahli scrive su Al Araby che la controinformazione di guerra del regime aggiunge l’offesa alla sofferenza. In particolare, secondo Sahli, la propaganda dell’alleato russo è inammissibile: “La sofferenza del popolo siriano è sempre definita come ‘falsa’, i bambini che soffocano sotto i gas sono ‘fabbricazioni’ dei ‘terroristi’”. Sahli aggiunge: “I russi sono abituati ai metodi sovietici e a quelli della Corea del Nord e il portavoce del ministro della difesa a Mosca la settimana scorsa è anche riuscito a vantarsi di ‘aver provato oltre 200 armi in Siria’”.

Il fatto che i siriani siano diventati dei “dettagli” nell’equazione internazionale è drammatico. L’intellettuale e giornalista libanese Hazem Saghieh su Al Hayat rammenta che il Medio Oriente è diventato un campo di battaglia dove si susseguono “aggressioni” seguite da “vittorie”, perché la regione è considerata solo come un oggetto di geopolitica, un terreno di scontro tra forze regionali:

Questo è il punto: Bashar al Assad ha vinto contro l’”aggressione” e si prepara a una “vittoria” certa. Dopo l’”aggressione”, gli israeliani si impegnano a rispettare “i diritti dei siriani in Siria”… Naturalmente, non è la prima volta che la Siria o i siriani vengono considerati come dettagli.

Attacchi simbolici e politici
Se per un certo tipo d’informazione gli attacchi sono stati solo “simbolici”, per il quotidiano Al Quds al Arabi sono invece un “assegno in bianco per Assad” poiché questi attacchi mirati gli consentono di poter continuare a bombardare i siriani con armi convenzionali:

La cosa più pericolosa di questi attacchi simbolici è il messaggio che danno al regime siriano. Dicono che uccidere il proprio popolo con armi chimiche è il solo tabù, l’unica linea rossa, e che così li può uccidere con tranquillità, ma con altri tipi di armamenti. Il mondo vedrà così nuovi massacri. Sono passati sette anni, durante i quali è stato ucciso mezzo milione di siriani mentre otto milioni di siriani sono sfollati in Siria e nel mondo. La sopravvivenza di un dittatore come Bashar al Assad dopo tutto quello che è successo, dopo tutta la devastazione che ha provocato, dopo tutti gli assassini commessi, è anche un vero incubo per tutti i popoli del mondo che potrebbero sognare la liberazione e l’emancipazione.

Ennab Baladi, un altro giornale di opposizione siriana è più ottimista: “Gli attacchi non sono stati militari ma politici e accompagnati dall’idea di cercare una soluzione politica in Siria. Ci sono stati numerosi incontri tra i diplomatici dei tre paesi in questi giorni. Gli europei stanno provando a non lasciare la Russia da sola in Siria e a forzarla a tornare al tavolo dei negoziati di Ginevra”.

Il parallelo con la Palestina
Tanti editoriali vedono ormai un parallelo, in particolare sulla questione dei rifugiati, con la Palestina e l’esodo del 1948. Nel giorno di festa per l’”indipendenza” della nazione siriana, Ennab Baladi chiede: “Di fronte alla ripartizione del paese tra tutte le forze straniere, quando parliamo di Siria, di quanti stati parliamo esattamente?”. Per la stampa di opposizione siriana, quello che conta oggi è raccontare la tragedia degli spostamenti di popolazione in atto dopo ogni vittoria del regime e il ricordo della nakba, l’esodo palestinese. In un lungo reportage intitolato “Il viaggio della morte”, Ennab Baladi ha seguito gli sfollati di Duma e racconta l’inferno del ricollocamento: “Le città siriane sono state svuotate della loro popolazione e le campagne sistematiche di spostamento stanno cambiando per sempre la storia e la demografia di questo paese” e questo “è ancora più preoccupante dell’uso delle armi chimiche”.

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