25 gennaio 2019 11:55

La data del 25 gennaio rappresenta un triste doppio anniversario per l’Italia e l’Egitto: la sparizione di Giulio Regeni avvenuta il 25 gennaio 2016 al Cairo, ma anche il primo giorno della rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011. Il popolo egiziano chiedeva allora pane e libertà, e vive ora sotto la peggiore dittatura della storia contemporanea egiziana. Nel quinto anniversario della rivoluzione Giulio Regeni, ricercatore dell’università di Cambridge, è stato rapito mentre raggiungeva la fermata della metropolitana. Il suo corpo, con i segni di terribili torture, è stato ritrovato il 3 febbraio abbandonato al lato di una strada.

L’hanno ucciso come “uno di noi”, hanno detto gli attivisti egiziani. “Non dimentichiamoci di tutti i giovani egiziani scomparsi, torturati e imprigionati”, ribadisce la famiglia Regeni. La campagna per la verità sulla tortura e l’assassinio del giovane ricercatore friulano ha fatto nascere una forte solidarietà in questi anni tra le società civili egiziana e italiana. Finora, però, i loro sforzi sono stati vani.

Giornali imbavagliati
In Italia, il 25 gennaio 2019, si accenderanno mille luci in cento piazze per ricordare la morte di Giulio Regeni.

In Egitto, in questo gennaio 2019 non si legge nulla sull’anniversario della rivoluzione, dato che i mezzi d’informazione sono completamente imbavagliati. L’unica notizia è quella del sito del ministero dell’informazione che cita la lettera di congratulazioni del primo ministro Mustapha Madbouli al suo presidente Abdel Fattah al Sisi. Madbouli loda “il presidente in occasione dell’anniversario del 25 gennaio per gli ammirevoli sforzi indirizzati a realizzare le speranze e le aspirazioni del popolo egiziano”.

Nel frattempo, sono state attivate misure di sicurezza eccezionali. Il sito Al Hurra riportava già un mese fa il divieto di vendere gilet gialli al Cairo. Se le manifestazioni sono praticamente vietate dalla legge del novembre 2013, “le restrizioni sui gilet gialli, simbolo delle proteste francesi, arrivano poche settimane prima dell’ottavo anniversario della rivoluzione del 25 gennaio”, scrive il giornale, “le autorità vogliono così controllare ogni movimento di protesta”.

Il caso giudiziario
Al livello della cooperazione giudiziaria, la situazione tra l’Italia e l’Egitto è bloccata. Dopo tre anni di sistematici ritardi della procura del Cairo per dare riposte a quella di Roma, il 28 novembre 2018 la procura romana ha indicato nove persone da iscrivere nel registro degli indagati, ritenuti coinvolti nell’omicidio di Giulio Regeni. L’Egitto ha rifiutato di procedere con le accuse perché sono poliziotti, spiega il giornale An Nahar, e ha protestato anche perché questa procedura non esiste in Egitto.

Nel frattempo, al Cairo continuano le intimidazioni per chi lavora sul caso. Il consulente legale della famiglia Regeni in Egitto, Mohamed Lotfy, responsabile anche della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), ha dichiarato di sentirsi in pericolo dopo che la moglie Amal Fathy è stata condannata a due anni di carcere per “terrorismo e diffusione di notizie false”. Il 14 maggio 2018, sempre in quest’ambito di forte solidarietà della società civile, Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni, e Alessandra Ballerini, avvocata della famiglia, avevano cominciato lo sciopero della fame per chiedere la scarcerazione di Amal Fathy.

I rapporti istituzionali tra Italia ed Egitto
Per il giornale indipendente Mada Masr che segue il caso da vicino, le posizioni del governo italiano sono ormai difficili da spiegare. Il presidente della camera dei deputati, Roberto Fico, si è schierato per fare luce sul caso, recandosi al Cairo per incontrare Al Sisi. Quella dell’esecutivo, continua il giornale, sembra una posizione molto meno decisa, in particolare dopo che il ministro dell’interno Matteo Salvini ha definito la vicenda una “questione di famiglia”.

L’Eni, nel 2015, in Egitto ha scoperto Noor, un enorme giacimento di gas, e a giugno del 2018 ne ha scoperto un altro nel deserto orientale

Mada Masr cita ancora “fonti diplomatiche europee che descrivono la recente alzata di tono da parte italiana come un ‘test’ per capire la reazione egiziana, senza aspettarsi molti progressi sul caso. La fonte sottolineava anche che le priorità odierne del governo italiano sono indirizzate verso la lotta al terrorismo, il controllo delle migrazioni e la preservazione degli interessi dell’Eni, che gestisce un faraonico progetto di estrazione di gas sulle coste e nel deserto egiziano”.

L’Eni, nel 2015, in Egitto ha scoperto Noor, un enorme giacimento di gas, il più grande del Mediterraneo, e a giugno del 2018 ne ha scoperto un altro nel deserto orientale, tre volte più grande di quello di Noor: “Un dato che non può che cambiare i rapporti Italia-Egitto, e anche tutta la geopolitica della regione”, spiega il quotidiano egiziano Al Masry Al Youm.

Sul fronte del dossier migratorio è invece Amnesty international Italia che ha registrato il 14 dicembre 2018 “una preoccupante impennata dei voli di rimpatrio forzato verso l’Egitto”. Impennata “segnalata dal garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma: ‘Proprio nel momento in cui, dopo la conferma della mancata collaborazione delle autorità egiziane nelle indagini sui responsabili della tortura e dell’assassinio di Giulio Regeni, forme di cooperazione istituzionali con l’Egitto vengono sospese, si ha la sensazione che, viceversa, la collaborazione fra i due paesi in tema di rimpatri forzati sia entrata in una fase di rilancio”.

Tre anni dopo, “la verità su Giulio Regeni la deve fornire il governo egiziano, e deve chiederla con forza quello italiano”, conclude Antonio Marchesi, presidente di Amnesty international Italia. Nelle strade egiziane il 25 gennaio sventoleranno grandi bandiere nere in onore “del giorno della festa della polizia”, scrive su Twitter la giornalista egiziana Amira Howeidy, come se nel caso di Giulio Regeni come in quello della rivoluzione non fosse successo proprio niente.

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