18 giugno 2019 17:07

Mohamed Morsi è stato il primo presidente democraticamente eletto dell’Egitto post rivoluzione. La sua presidenza, cominciata nel 2012, è durata poco più di un anno, interrotta dal golpe militare orchestrato dall’attuale presidente Abdel Fattah al Sisi nel giugno del 2013. Morsi è stato accusato di spionaggio per l’Iran, il Qatar e Hamas, di insulto all’autorità giudiziaria, nonché di organizzazione di attacchi terroristici. Dopo sette anni di prigione in stretto isolamento per 23 ore al giorno, è morto la sera del 17 giugno in tribunale. Aveva 67 anni, era diabetico e non ha mai avuto cure adeguate. In sette anni ha potuto ricevere solo quattro visite dai familiari.

Nel 2017 un articolo di Peter Oborne sul Middle East Eye intitolato “Morsi potrebbe morire in una prigione egiziana” avvertiva: “L’ex presidente sviene frequentemente ed è entrato due volte in coma. La sua salute è seriamente deteriorata e mi dicono che ci sono tutte le ragioni di temere per la sua vita. La settimana scorsa la sua famiglia ha potuto visitarlo per la prima volta dopo quattro anni e sono rimasti scioccati da quello che hanno visto – come dovremmo esserlo tutti”.

L’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch stava ultimando un rapporto sul suo preoccupante stato di salute. E il gruppo di parlamentari britannici Detention review panel aveva scritto in un rapporto del marzo 2018 che “la detenzione del presidente Morsi è al di sotto degli standard internazionali per il trattamento dei carcerati e costituisce un trattamento crudele, inumano e degradante. Riteniamo inoltre che la sua detenzione sia prossima alla tortura, sia secondo la legge egiziana sia secondo quella internazionale”.

La sua era stata una vittoria storica per il partito dei Fratelli musulmani, esclusi dalla vita politica per sessant’anni

Il Middle East Eye è riuscito a parlare con alcuni testimoni che si trovavano nell’aula di tribunale: Morsi era rinchiuso nella gabbia insieme ad altre persone. Subito dopo la chiusura dell’udienza i detenuti hanno cominciato a sbattere contro le sbarre, urlando e chiamando i soccorsi per lo svenimento di Morsi: la sicurezza ha fatto evacuare la sala e il prigioniero è stato dichiarato morto alle 16.50. Questa mattina, scrive suo figlio Ahmed Mohamed Morsi su Facebook, “è stato sotterrato nel cimitero dei fratelli musulmani a Nasr City”, nel nord del Cairo, precisando che le autorità gli hanno rifiutato un funerale pubblico.

Nato in una famiglia modesta nel governatorato di Sharqiyya, nel nord dell’Egitto, Morsi era dottore in ingegneria ed è stato professore all’università di Zagazig fino al 2000, quando è entrato in politica con i Fratelli musulmani, del cui partito, Libertà e giustizia, fondato nel 2011, divenne il presidente. Il 24 giugno 2012 la sua vittoria alle prime elezioni libere in Egitto contro il candidato dell’era Mubarak, Ahmed Shafiq, aveva rappresentato una vittoria storica per il partito dei Fratelli musulmani, esclusi dalla vita politica per sessant’anni.

Nella stampa egiziana, ora, non c’è quasi nessuna traccia della morte dell’ex presidente. Al Masry Al Youm dedica la prima notizia alla cooperazione dell’Egitto con la Bielorussia, come fa tra l’altro lo storico quotidiano Al Ahram. Dall’Arabia Saudita, un tweet del ministero degli esteri ricorda che per il regno “i Fratelli musulmani sono un’organizzazione terroristica che ferisce l’islam e un pericolo per la stabilità”.

Sui social network l’emozione è invece palpabile.

Il fotografo egiziano Mosaab Elshamy – che vive in Marocco – ricorda su Twitter di aver votato per Morsi anche se non era un suo fervente sostenitore: “Non aveva idee chiare né carisma, e non ispirava neanche molta fiducia. Aveva davanti a sé sfide immense e non è riuscito a gestirle. Ora, però, è impossibile non sentire un’immensa tristezza per la sua morte, così crudele e vile. Dice tanto sul marchio di fabbrica del regime di Al Sisi: la vendetta”.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Sentimento che ora si estende a tutte le categorie di egiziani che lo minacciano. Basta ricordare gli altri sessantamila prigionieri politici che in questo momento soffrono lo stesso trattamento inumano nelle prigioni egiziane.

La morte di Morsi potrebbe essere il punto finale sulla sorte dei Fratelli musulmani in Egitto. Secondo il ricercatore egiziano Abdel Rahaman Ayyache – che ora vive in Turchia – autore di uno studio sull’impatto della prigionia sull’organizzazione islamica, almeno a livello ideologico la fratellanza non ha resisto alla purga degli ultimi anni.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it