05 settembre 2017 16:36

È stata un’estate lunghissima, caldissima e inquieta. Le foto che ci portiamo con noi ci dicono molto su come è andata, e cosa ci aspetta per l’autunno. È stata l’estate dei migranti, della fantasmatica emergenza migranti: le ong accusate di essere complici degli scafisti, lo sgombero dei rifugiati dal palazzo di via Curtatone a Roma, l’insofferenza xenofoba sempre più presente negli episodi di cronaca.

Le foto più significative di quest’estate sono state tre. La prima è quella dei ragazzi neri richiedenti asilo, sorridenti, allegri, in una piscina in provincia di Pistoia insieme a un prete, don Massimo Biancalani, che per queste foto si è preso gli attacchi di leghisti e neofascisti, che hanno addirittura minacciato lo svolgimento della sua messa. Le altre due foto sono prese dagli scontri per lo sgombero a piazza Indipendenza: quella con il poliziotto in tenuta antisommossa che accarezza la donna eritrea in lacrime e quella di un’altra donna colpita dal getto di un idrante.

Nel 2015, proprio in questo periodo, la fotografia di Aylan, il bambino morto su una spiaggia di Bodrum, in Turchia, aveva avuto la capacità di mutare oltre le coscienze anche l’indirizzo di alcune politiche europee in tema di immigrazione. A distanza di 24 mesi, il clima è peggiorato. L’idea che ci possano essere dei ragazzi africani che si divertono in piscina provoca una rabbia razzista incontrollata: i migranti possiamo prenderli in considerazione solo come vittime o come problema da eliminare.

Quale politico oggi si farebbe ritrarre in compagnia di un gruppo di rifugiati?

È stata un’operazione di cleaning, è stata la fiera dichiarazione della prefetta Paola Basilone il giorno dopo lo sgombero di via Curtatone. Genet, la donna con il poliziotto, anche se era coinvolta in prima persona, se n’è resa conto. Il giorno stesso dichiarava: “La usano per mostrare la faccia bella di questa storia, ma la verità è che siamo stati buttati via come una scarpa vecchia. Per cinquantacinque anni gli italiani sono stati in Eritrea, ma non gli abbiamo fatto quello che ci state facendo voi italiani. Non abbiamo neanche lo spazio per farci seppellire”.

Ma quella foto è simbolo anche di altro: per esempio di come l’immigrazione sia diventata ormai una questione solo di ordine pubblico. Lo si è visto anche in piazza nei tre giorni dello sgombero: c’erano i rifugiati africani e i poliziotti, una sparuta rappresentanza di giornalisti, associazioni umanitarie, movimenti per la casa, e basta. I politici, se non qualche radicale, qualche singolo rappresentante dei partiti lì a titolo personale, erano assenti, lontani, spesso irraggiungibili perfino per una dichiarazione al telefono. Sindaco, assessori, leader di partito, parlamentari.

Facciamo un’ipotesi. Quale politico oggi – in una campagna elettorale ormai dichiarata e che somiglia sempre di più a una campagna di odio – si farebbe ritrarre in compagnia di un gruppo di rifugiati? L’apartheid invocato dalla destra con sempre più convinzione vive già nel nostro immaginario. Lo spazio simbolico vede i neri segregati: come criminali o invasori, come poveri o vittime.

I politici hanno deciso di autosospendersi dal ruolo dell’educazione morale della cittadinanza

Ma c’è una riflessione in più che va fatta. I politici non sono soltanto clamorosamente latitanti nella gestione pratica della questione dei migranti. Per esempio: le famiglie sgomberate da via Curtatone sono ancora per strada e né il comune né il governo sembrano volersene fare carico; i migranti che attraversano la Libia vengono arrestati e rinchiusi in disumani centri di detenzione che non sono controllati nemmeno dall’Onu; quelli che provano ad attraversare il Mediterraneo vengono intercettati da una guardia costiera libica che è di fatto una flotta di banditi. L’importante è però che tutto questo non sia visibile, non ci impensierisca, non gravi sulle nostre coscienze.

Ma i politici hanno una responsabilità in più: hanno deciso anche di autosospendersi da un ruolo importante per chi si occupa della cosa pubblica – quello dell’educazione morale della cittadinanza. E su questo la deriva italiana è sotto i nostri occhi. Il punto di svolta del discorso pubblico è coinciso con il momento in cui il governo ha deciso di legittimare la retorica di attacco alle ong che si occupano (occupavano, è giusto dire) dei salvataggi in mare nel Mediterraneo: il codice preparato dal ministro Marco Minniti gliel’ha di fatto impedito. Insieme sono arrivate le parole del libro di Matteo Renzi, Avanti: una complicatissima autogiustificazione per affermare “aiutiamoli a casa loro” senza sentirsi in colpa.

Qualche reazione sdegnata – come Gad Lerner, uno dei fondatori del partito che ha rinunciato alla tessera – è annegata nell’onda di un razzismo che in molti casi non ha nemmeno più pudore a dirsi tale. Le poche voci dissonanti sono flebili: quella rediviva di Emma Bonino e dei radicali, quella di papa Francesco, sempre più osteggiato da settori ampi della chiesa, quella di qualche pervicace politico intelligente, il solito Luigi Manconi per dire.

Per il resto non manca giorno che qualche assessore locale – anche qui, il partito di appartenenza non conta più – non se ne esca con un tweet razzista, con qualche presa di posizione contro i migranti.

Per convenienza elettorale, per inerzia morale, o per una conversione convinta alla parte più razzista, l’emergenza migranti da slogan di qualche bilioso leghista è diventato il tema che ha egemonizzato l’informazione. Non serve nemmeno più fare debunking sulle bufale, ribadire i dati che segnalano che non ci sia nessuna invasione. Servirebbe una nuova classe politica, che sappia cosa vuol dire essere umani, che sia consapevole del mondo in cui vive. Non è facile nemmeno fare finta di essere ottimisti.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it