10 maggio 2017 15:19

L’interazione tra grafica giapponese e modernità occidentale ha una storia lunga che va da quella stampa di Utagawa Kuniaki alle spalle di Emile Zola nel ritratto di Manet del 1868, fino all’estetica di manga e anime che pervade l’immaginario di tanta cultura sia alta sia popolare di oggi.

La piccola ma preziosa mostra Boom, Beat, Bubble allestita fino al 12 ottobre all’istituto giapponese di cultura di Roma è una panoramica su alcune tendenze della grafica e della stampa giapponesi degli anni cinquanta (il boom), sessanta (la cultura beat) e settanta (bubble, la bolla economica).

In occidente, a causa forse del grande impatto che le stampe ukiyo-e hanno avuto nello sviluppo di impressionismo e postimpressionismo, abbiamo la tendenza a considerare l’arte giapponese come qualcosa di raffinato e rarefatto ma di sostanzialmente immobile. Un esotico deus ex machina che, arrivato da molto lontano, ha aiutato artisti moderni come Monet, Cézanne e Van Gogh a liberarsi dai fardelli dell’accademia e delle convenzioni pittoriche. Come spesso accade con le arti provenienti da lontano, l’occidente tende, attraverso l’appropriazione culturale, a trasformare l’estetica altrui in una sorta di luogo comune, di nota a piè di pagina nella storia dell’arte che, ovviamente, è sempre storia dell’arte occidentale.

Spazi di modernità
Il meccanismo dell’appropriazione, introiettato dall’occidente grazie anche a cinque secoli di colonialismo, ci porta a sottovalutare il fatto che da fine ottocento in poi (con una decisa accelerata nel dopoguerra), gli scambi e le influenze artistiche tra Giappone e occidente avvenivano in due sensi. E che la modernità giapponese non era eternamente intrappolata nel “mondo fluttuante” dell’ukiyo-e e che le tecniche antichissime di litografia, xilografia e serigrafia stavano evolvendosi in maniera originale e decisamente moderna.

I lavori in mostra, tutti parte della collezione dell’istituto restaurati per l’occasione, dimostrano come l’antica arte incisoria giapponese si sia aperta con grande originalità ai linguaggi delle avanguardie: dal surrealismo all’astrattismo hard edge, dall’espressionismo astratto alla pop art, fino alle tendenze più recenti della post-modernità. Alcuni lavori colpiscono per perizia tecnica maniacale, per esempio le xilografie piene di dettagli decorativi di Kiwasaki Takao. Altri colpiscono per la loro preveggenza: l’opera di Ay-ō, datata 1974, accenna già a certe soluzioni modulari della computer grafica e la grande zucca di Yayoy Kusama (1988) fluttua in un’inafferrabile zona grigia tra pointillisme e pixel art.

È notevole anche che una mostra sia così in sintonia con il luogo che la ospita. L’istituto giapponese, in cui l’architetto Yoshida Isoya riprese in chiave modernista lo stile Heian, offre già con i suoi spazi e i suoi arredi una riflessione sui rapporti tra modernità occidentale e modernità giapponese.

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