05 ottobre 2019 11:14

In Ghosteen, il brano che dà al titolo al nuovo disco di Nick Cave, tre orsi guardano la televisione. Mamma orsa tiene in mano il telecomando, papà orso fluttua nell’aria e il piccolo orso non c’è più. È andato sulla luna su una barca. È impossibile non leggere in questo bozzetto surreale, uno dei tanti che affollano il diciassettesimo album del cantautore australiano con i Bad Seeds, un riferimento alla tragica morte di suo figlio, Arthur, precipitato da una scogliera nel luglio del 2015 mentre era sotto effetto dell’lsd.

In Hollywood, l’ultimo brano in scaletta, sontuosi arrangiamenti orchestrali alla Scott Walker (una delle influenze più evidenti di questo lavoro) e loop elettronici aprono la strada alla voce di Cave, che dopo aver descritto una specie di apocalisse dalle parti di Malibu rievoca la vicenda di Kisa Gotami, una delle più famose storie tradizionali del buddismo, che parla proprio di accettazione del lutto e di universalità della morte. “Everybody’s losing someone, it’s a long way to find peace of mind (tutti stanno perdendo qualcuno, per trovare la pace nella mente la strada è lunga)”, canta Cave.

Ghosteen è un disco doppio, registrato tra la California, Brighton e Berlino, che alterna canzoni a brani spoken word. È ricco d’immagini bibliche (questa non è una novità per il musicista australiano): nei testi Gesù compare più di una volta, ci sono navi che solcano il mare e approdano in cielo e treni che rievocano il topos gospel della ferrovia come veicolo del viaggio verso l’aldilà. E c’è una struggente canzone d’amore che s’intitola Leviathan. Ma Ghosteen è anche pieno di suggestioni letterarie: in Bright horses la descrizione delle criniere infuocate dei cavalli fa venire in mente William Butler Yeats, mentre altrove ci sono omaggi sparsi a William Blake e Sylvia Plath. Del resto Cave è un avido lettore di poesie, e chi lo conosce di persona racconta che lavora ai testi dei suoi brani con costanza certosina.

Il suono di Ghosteen, annunciato a sorpresa pochi giorni fa mentre il musicista chattava con una fan, è quanto di più etereo e rarefatto si possa trovare nella discografia del musicista australiano. Se la sua musica era solita raccontare la notte, qui siamo più dalle parti dell’alba, soprattutto nel primo disco. Ma l’oscurità, in particolare nella seconda parte, non è di certo scomparsa.

Warren Ellis ha sempre di più in mano le chiavi dell’universo Bad Seeds e crea meraviglie con i suoi arrangiamenti. Tappeti sonori elettronici quasi da drone music sanno accendersi all’improvviso, prendendo strade melodiche mai banali, mentre da più parti fanno capolino sintetizzatori analogici quasi prog. La batteria è praticamente assente, le chitarre anche. Cave, insomma, è sempre più lontano dalla forma canzone del folk e del rock. Il processo era cominciato con il meraviglioso Push the sky away, è proseguito in Skeleton tree e ora è arrivato a compimento definitivo, senza compromessi, sotto la spinta di un lutto personale che sembra aver liberato strade compositive nuove.

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Ci sono un paio di pezzi più canonici, dove il pianoforte accompagna la voce di Cave, per esempio la già citata Bright horses. Ma sembrano finiti lì quasi per caso, come se fossero rimasti impigliati nelle maglie di uno spirito gentile. Di ritornelli non ce ne sono molti, ma sono di livello assoluto, a partire da quello di Sun forest, uno dei pezzi migliori del lotto. Ghalleon ship invece sembra una versione aggiornata di When the ship comes in di Bob Dylan ed è un’altra gemma. Nick Cave canta spesso con una voce rotta, sommessa. A volte allarga la sua estensione, arrivando fino al falsetto. Questo succede in Spinning song, il brano d’apertura, ennesimo omaggio (come Tupelo) al suo idolo Elvis Presley, che qui diventa un fantasma tra i fantasmi.

“Le canzoni del primo album sono i bambini. Le canzoni del secondo album sono i genitori. Ghosteen è uno spirito migrante”, ha spiegato il cantautore in poche righe nel comunicato stampa diffuso per l’uscita del disco. Per ora Cave non ha rilasciato interviste promozionali, e non è detto che lo farà. Sembra quasi che voglia far parlare solo la musica.

Ci vorrà almeno qualche giorno per metabolizzare Ghosteen, e scriverne a un solo giorno dalla sua uscita è un azzardo, ma del resto il giornalismo di nutre di scadenze. Quello che sembra evidente, finora, è che siamo di fronte a un altro grande album di Nick Cave, una riflessione sul lutto che si eleva a vette di bellezza assoluta e terrificante. Qualcuno, come il critico del Guardian Alexis Petridis, ha scritto che queste sono “le canzoni più belle che Cave abbia mai registrato”. È un’affermazione forte, che per il momento non mi sento di condividere del tutto, considerati i dischi del passato. Il tempo ci dirà se potremo usare la parola capolavoro. Ma l’impressione è che Ghosteen abbia lasciato un segno molto forte nella musica del 2019, e non solo.

P.S. Questo fine settimana la recensione di Ghosteen sostituisce le canzoni del weekend. Ho aggiornato la playlist con Sun forest.

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