14 luglio 2017 13:38

C’era da aspettarselo. Il titolo di copertina di Internazionale di questa settimana – “La nuova vita del soldato che ha fatto tremare gli Stati Uniti” – ha scatenato il dibattito su Facebook: perché soldato e non soldata, o addirittura soldatessa? Sgombriamo subito il campo dalle soldatesse: per il femminile di soldato è preferibile usare la forma in -a, soldata, perché il suffisso -essa in genere è usato in senso peggiorativo, e in passato designava la moglie di chi esercita una certa professione (la presidentessa, per esempio, era la moglie del presidente, e così via).

Il soldato in questione è Chelsea Manning, che nel gennaio del 2010 – quando ancora si chiamava Bradley – decise di passare a Wikileaks migliaia di documenti riservati sulle guerre degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq, che presto sarebbero stati resi pubblici. Nel 2013, tre anni dopo l’arresto e la condanna a 35 anni di carcere, Manning dichiarò in una lettera ai mezzi d’informazione di voler essere chiamata Chelsea e di voler cominciare il percorso di transizione al sesso femminile. Si sentiva una donna già da molto tempo.

È rimasta in carcere altri quattro anni, finché finalmente lo scorso gennaio Barack Obama, arrivato alla fine del suo mandato, le ha ridotto la pena. Dal 17 maggio Manning è in libertà. Nel frattempo ha continuato la terapia ormonale per la transizione di genere.

Una nuova vita
Alcuni lettori ci hanno scritto su Facebook sostenendo che, se Manning si è sempre sentita una donna, usare nel titolo il maschile “soldato” per riferirsi a lei è una mancanza di rispetto. Tuttavia all’epoca delle rivelazioni e dell’arresto, quando non aveva ancora manifestato il suo desiderio di diventare donna, i mezzi d’informazione di tutto il mondo parlarono di lei come del “soldato Manning”.

Inoltre nella foto di copertina Manning è irriconoscibile, anche per chi ha seguito la sua vicenda dall’inizio: la ragazza di 29 anni che posa davanti all’obiettivo dei fotografi in tailleur e tacchi a spillo è molto diversa dal ragazzo timido in divisa delle foto che circolarono tra il 2010 e il 2013. E il titolo gioca proprio con quell’immagine: Manning ha cominciato una “nuova vita” non solo perché è di nuovo in libertà dopo sette anni di carcere, ma anche perché ci è entrata fisicamente maschio e ne è uscita decisamente più femmina.

Quella di Manning è una storia complessa. Ma tanta complessità deve essere ridotta all’essenziale per essere presentata in copertina, dove bisogna far dialogare titolo e immagine per trasmettere un messaggio il più possibile chiaro e diretto. Quanto al rispetto dell’identità di genere, non si discute. Nell’articolo si fa riferimento a Manning sempre al femminile: poco importa a che punto sia il suo percorso di transizione, la persona che racconta al New York Times l’incredibile storia della sua vita è una donna.

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