15 febbraio 2019 15:17

Ma chi mi ricorda Alita, la protagonista di Alita. Angelo della battaglia, interpretata da Rosa Salazar pesantemente ritoccata in computer grafica? Alita è un cyborg ritrovato nel 2.539 in una discarica dal dottor Ido, una specie di medico/meccanico di robotica che ripara le parti bioniche dei poveretti della megalopoli Iron City. Alita, che ha l’aspetto di una ragazzina dolce e carina, è una specie di sopravvissuta, frutto di una tecnologia superiore perduta da tempo. Tutto ciò prende spunto da una famosa serie manga, Gunnm di Yukito Kishiro, che ha già ispirato cartoni animati (in rete si trova il lungometraggio animato del 1993) e romanzi per ragazzi. Nel 1997 James Cameron ha acquistato i diritti della saga e giusto una ventina d’anni dopo ecco il primo film, diretto da Robert Rodriguez, che punta apertamente a diventare il primo di una serie.

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Il botteghino deciderà se ci saranno sequel e in quale numero, intanto possiamo dire che il film è ben fatto, Rodriguez non è un novellino, e l’adattamento del manga non lascia fuori niente. E poi c’è Alita, una ragazzina che tutti seguiremmo in battaglia, adorabile con quegli occhioni… Ma chi mi ricorda? Comunque nel cast anche Jennifer Connelly, Mahershala Ali, Keean Johnson e un cattivone a sorpresa.

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Direttamente da Berlino arriva La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi (Alì ha gli occhi azzurri, Fiore e tanti altri), tratto dal romanzo di Roberto Saviano. Il film fa parte dell’universo criminale “campano” che discende da Gomorra (libro, film e serie), intorno a cui in qualche modo si è creata una vera industria (ricca e solida), e racconta le avventure di un gruppo di ragazzi di Napoli (rione Sanità, quartieri spagnoli), gangster molto giovani e belli che però non sono da meno rispetto ad altri criminali del cinema. Un film avvincente che non nasconde le profonde voragini che si sono create in questo paese, riempite con armi, droga e l’idea delle scorciatoie per arrivare a dettare legge sui più deboli.

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Per restare nei pressi di Berlino, un grande classico della distribuzione è che durante i grandi festival (in questo caso la Berlinale, che si conclude domenica 17 febbraio 2019) vengono sparati in sala film che hanno avuto un qualche risalto nell’edizione dell’anno precedente. Ognuno ha diritto ad amare. Touch me not, di Adina Pintilie, l’anno scorso ha vinto l’Orso d’oro, pur dividendo e facendo molto discutere critica e pubblico. Mescolando fiction e realtà, personaggi inventati e persone vere, la regista racconta i tentativi di Laura di superare una psicosi che le impedisce di avere il minimo contatto fisico con il prossimo. La donna, seguita da una troupe, si sottopone a terapie ed esperienze di ogni genere. In questa esplorazione conosce altre persone che hanno problemi con la sessualità e con il proprio corpo, per le ragioni più diverse.

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Come operazione Un’avventura di Marco Danieli può ricordare Across the universe. Nel film di Julie Taymor i protagonisti reinterpretavano grandi classici dei Beatles. In questo film Laura Chiatti e Michele Riondino cantano dei classici di Lucio Battisti, riarrangiati dall’affiatata coppia Pivio/De Scalzi. Il film racconta la storia d’amore tra Matteo e Francesca nell’arco di una decina d’anni ed è punteggiato da scene musical costruite sulle canzoni di Battisti. Naturalmente la colonna sonora ha un certo peso, ma il film, sceneggiato da Isabella Aguilar, non è un banale montaggio di canzoni celebri “sceneggiate”. Ci si diverte, qualcuno può anche commuoversi e quindi l’operazione è riuscita. Certo, chi è un po’ stufo della nostalgia per gli anni sessanta e settanta (veicolata con insistenza soprattutto dalla tv, in area non protetta) potrebbe soffrire.

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Sempre in quota “film della Berlinale dell’anno scorso” arriva anche Un valzer tra gli scaffali di Thomas Stuber, una commedia tedesca in cui un giovane appena uscito di prigione comincia a lavorare in un megastore. Un vecchio magazziniere lo prende sotto la sua ala svelandogli tutti i segreti di quella piccola cittadina fatta di enormi scaffali e merci di ogni genere. Trova l’amore, ma bisogna vedere se riesce a essere corrisposto. Nel cast Franz Rogowski e Sandra Hüller, l’attrice che ci ha ipnotizzato cantando Greatest love of all in Toni Erdmann. L’idea di una “commedia tedesca” può non essere troppo invitante, ma sempre meglio del polpettone di Dan Fogelman, La vita in un attimo.

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