03 maggio 2019 18:09

I fratelli Sisters di Jacques Audiard è stato una sorpresa. Non che le aspettative fossero basse. Al contrario la filmografia del regista francese è impressionante e I fratelli Sisters è sicuramente all’altezza dei suoi film precedenti. Più o meno alla metà dell’ottocento Eli (John C. Reilly) e Charlie (Joaquin Phoenix) sono due pistoleri in Oregon al servizio di uno spietato Commodoro (Rutger Hauer). Il boss li incarica di trovare un cercatore d’oro, Herman Warm (Riz Ahmed), di cui già segue gli spostamenti il detective John Morris (Jake Gyllenhaal), sempre al servizio del Commodoro. Il compito dei fratelli è farsi dare una formula chimica dal cercatore e poi ucciderlo. Le tracce di Warm portano in California.

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La trama sembra quella di un thriller. Ma siamo davanti a un western. Si può essere d’accordo con Marcos Uzal di Libération quando scrive che Audiard si è ispirato ai film western degli anni sessanta-settanta, dei Penn e dei Peckinpah, ma anche che deve molto al tono sobrio di quelli di Clint Eastwood. Ma in definitiva quello di Audiard è un altro western ancora, nuovo e sorprendente. Le pistole, i cavalli, i grandi scenari, il fango e i saloon sono avvolti da un’atmosfera quasi delicata in cui a spiccare sono i rapporti fraterni, che siano reali (quello appunto dei titolari) o ideali (quello che lega Morris a Warm). Eccezionali tutti gli interpreti, su cui a mio parere spicca John C. Reilly, perfetto, il vero protagonista del fine settimana.

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Infatti l’attore statunitense è protagonista anche di Stanlio & Ollio di Jon S. Baird, nel ruolo di Oliver Hardy. Accanto a lui Steve Coogan nei panni di Stan Laurel. Questo film mi ha devastato. La malinconia che normalmente circonda le figure di Laurel e Hardy, personaggi legati fondamentalmente all’infanzia, diventa quasi insostenibile man mano che procede la trama di questo commovente omaggio al duo comico, e a un mondo del cinema e dello spettacolo che non esiste più. Il film ripercorre l’ultimo tour teatrale che Laurel e Hardy fecero nel Regno Unito, nel 1957, con l’idea quasi folle di rilanciare le loro carriere, nonostante il fatto che il loro sodalizio si fosse interrotto quasi vent’anni prima.

Anche qui gli interpreti sono pazzeschi, non solo Reilly e Coogan, ma anche Shirley Henderson e Nina Arianda, che interpretano le mogli degli attori, Lucille e Ida. Tornando ai due protagonisti, si compensano perfettamente, com’era per Stanlio e Ollio, oltre che sul palcoscenico, dove si muovono con la naturalezza di chi certe gag le ha fatte per anni, anche nel dare vita ai personaggi, dove Coogan/Laurel fa più ricorso alla mimica facciale, mentre Reilly/Harding fa sembrare naturale anche quello che chiaramente è un pesante make-up. Un film devastante perché commovente, ma anche profondo nel raccontare sia i rapporti umani sia la vita dei comici “di una volta”, totalmente devoti alla loro arte.

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Infine arriva in sala una commedia molto bislacca la cui protagonista reale è un’intera regione, la Sardegna. Al punto che si potrebbe definire una commedia “etnografica”. In L’uomo che comprò la Luna di Paolo Zucca (che ha scritto anche la sceneggiatura insieme a Barbara Alberti e Geppi Cucciari), Kevin Pirelli (Jacopo Cullin) è un soldato milanese incaricato dai “servizi segreti” di scoprire chi è il misterioso sardo che si arroga la proprietà del satellite. Già la premessa è sufficientemente surreale per immaginarsi che avremo a che fare con un film onirico, le cui protagoniste sono la Luna e una terra da sogno: la Sardegna. Nel cast anche Stefano Fresi, Francesco Pannofino, Benito Urgu e Angela Molina.

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