22 novembre 2019 16:18

In sala, ancora per qualche ora c’è Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, presentato a Venezia. È uscito in pochi cinema perché il film è prodotto da Netflix e sarà a disposizione degli abbonati a partire dal 6 dicembre. Senza entrare nella diatriba “Se i film vanno visti in sala oppure no” mi faccio molte domande sulla distribuzione, in generale. Il film è bello ed è tra quelli “da vedere”, non solo perché Baumbach è l’autore di Il calamaro e la balena, film in cui non ancora quarantenne ha spaccato in due la commedia sentimentale. Ma anche perché ci sono Scarlett Johansson e Adam Driver che fanno una supercoppia in cui ci si può facilmente immedesimare, nel bene e nel male.

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Ma il filmone del fine settimana, quello per chi non è abbonato a Netflix, è L’ufficiale e la spia di Roman Polanski. Chi sa tutto dell’affaire Dreyfus, “lo” scandalo francese di fine ottocento, forse vedrà le cose da un nuovo punto di vista, diverso da quello di Zola. Chi non ne sa niente vedrà un fantastico legal thriller con un grande attore (Jean Dujardin) in una parte perfetta per certe sue stolidità. In una piccola parte c’è anche Luca Barbareschi, coproduttore del film.

C’è ovviamente la questione di Polanski, come uomo. Non so sinceramente cosa dire. Ho letto molte cose sulla differenza tra uomo e artista. Se cioè bisogna rigettare le opere di qualcuno che umanamente sembra impresentabile. Non ho un’opinione definitiva in merito. Posso solo dire che, per mettere qualche paletto, L’uomo nell’ombra è un film qualsiasi, Venere in pelliccia chi se ne frega, ma L’ufficiale e la spia è da vedere, Repulsion e Chinatown poi, sono capolavori.

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Bello, drammatico, incompiuto, incerto, imperfetto, aspro, generoso fino all’eccesso. Aspromonte di Mimmo Calopresti somiglia molto alla terra che racconta, la Calabria. In particolare l’Aspromonte del dopoguerra, che annaspa tra mondo antico, ancestrale, e modernità. Il film potrà sembrare anche un po’ didascalico (soprattutto nei personaggi che vengono dal nord, come i terribili giornalisti o la maestra con lo zippo interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, comunque splendida), ma la bilancia alla fine pende dalla parte dell’umanità. Marcello Fonte, nella parte del poeta del paese, gioca ancora in casa ma, in alcune scene, dimostra che la sua Palma d’oro non è un regalo (non il Leone d’oro come frettolosamente e superficialmente avevo scritto in precedenza, e di questo mi scuso). Fa piacere ritrovare Francesco Siciliano, ma la chiusura va dedicata a Francesco Colella che, anche se rinuncia totalmente alla sua ironia, quando la sceneggiatura comincia a rotolare troppo velocemente rimane un punto di riferimento.

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Esce anche Light of my life di e con Casey Affleck che interpreta un padre che in un futuro dove le donne sono in pericolo cerca di sopravvivere insieme alla sua bambina di 11 anni (Anna Pniowsky).

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