17 novembre 2015 15:28

Il viaggio in un angolo remoto degli Urali, nella regione russa di Sverdlovsk, è come un ritorno indietro nel tempo: non ci sono telefoni e l’elettricità c’è poche ore al giorno. Per raggiungere il villaggio di Kalač, per esempio, si usa un piccolo treno a scartamento ridotto e una volta lì si può parlare solo con una decina di persone. Sono soprattutto persone adulte e vivono con quello che riescono a coltivare e allevare. Le mucche hanno lasciato il posto alle capre. Patate, pomodori e cetrioli sono tra gli alimenti più diffusi.

A Strokinka vivono in venti, più o meno nelle stesse condizioni; a Sankin sono seicento e hanno il lusso di avere un ufficio postale dove poter inviare e ricevere lettere, e ritirare la pensione. Non è sempre stato così. Trent’anni fa Kalač aveva seicento abitanti, e anche negli altri villaggi c’era molta più gente. Il collasso dell’Unione Sovietica e la crisi dell’industria forestale ha spinto molti a trasferirsi nella vicina città di Ekaterinburg o altrove.

Il fotografo della Reuters Maxim Zmeyev nell’ottobre del 2015 ha fotografato chi ha deciso di restare.

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