“È impossibile dire se un’immagine è stata scattata da una donna o da un uomo”, sostiene la fotoreporter britannica Alison Baskerville. Altre fotografe pensano che essere donna possa essere un vantaggio o uno svantaggio, a seconda del luogo in cui si lavora.
“Non siamo viste come una minaccia e spesso riusciamo a ottenere immagini proprio perché si dimenticano della nostra presenza”, dichiara Diana Zeyneb Alhindawi, 37 anni, di origine romena e irachena.
La fotografa belga Annabell Van den Berghe, che parla arabo e lavora da anni in Iraq, racconta che a volte sono gli stessi colleghi, assistenti e traduttori, a non trattare le fotografe con rispetto. E che in alcuni paesi, più ostili alle donne, ci sia bisogno di un intermediario perché la donna non può rivolgersi direttamente a un uomo o viceversa.
Baskerville, Alhindawi e Van den Berghe sono tra le quattordici fotografe scelte per la mostra In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra a palazzo Madama a Torino, fino al 13 novembre 2016. L’esposizione è dedicata alla fotogiornalista Camille Lepage, uccisa in un’imboscata in cui erano coinvolti miliziani anti balaka ed ex ribelli Séléka e trovata morta il 13 maggio 2014 nell’ovest della Repubblica Centrafricana.
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