21 settembre 2021 14:58

Nel 1968 Eugene Richards ha 24 anni, ha concluso gli studi in fotografia al Massachusetts institute of technology sotto la supervisione di Minor White e partecipa alle proteste contro la guerra in Vietnam. Si unisce a Vista (Volunteers in service in America), un’associazione governativa che lotta contro la povertà, prima come assistente sociale e poi come fotoreporter. Ed è così che il delta dell’Arkansas entra nella sua vita.

Richards comincia a documentare la condizione dei coltivatori afroamericani nell’est dell’Arkansas, tra povertà e segregazione razziale. Dopo avere lasciato Vista, fonda Many voices, un giornale locale che racconta la condizione dei lavoratori e dei detenuti neri, le proteste per i diritti civili e gli attacchi del Klu Klux Klan. Dopo quattro anni di lavoro pubblica la sua prima monografia, Few comforts or surprises: the Arkansas delta.

Richards torna in Arkansas molti anni dopo, nel 2010 grazie a un commissionato del National Geographic e nel 2019. I campi di cotone e le baracche dei mezzadri sono stati sostituiti dalle macchine dell’agricoltura industriale, e dove vivevano le persone restano solo tetti di lamiera, teli di plastica e letti abbandonati. Nel 2020 pubblica The day I was born, che raccoglie le storie di sei persone che vivono nel delta.

Al lungo racconto di Eugene Richards sull’Arkansas è dedicata una mostra, inedita in Italia, al Festival della fotografia etica di Lodi, dal 25 settembre al 24 ottobre. Tra gli altri autori esposti, ci saranno anche Jędrzej Nowicki sulle proteste antigovernative in Bielorussia, Ami Vitale con la cronaca di un salvataggio di giraffe in Kenya, Nicolò Filippo Rosso che documenta la marcia dei migranti sudamericani verso gli Stati Uniti e Giulio Piscitelli con il suo reportage tra gli ospedali di Kabul e Lashkar Gar, in Afghanistan.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it