10 dicembre 2021 14:51

Nel maggio del 1985, quando a Leningrado Michail Gorbačëv parla per la prima volta della necessità di ricostruire l’Unione Sovietica attraverso quel programma di riforme che passerà alla storia come perestrojka, Igor Mukhin ha 24 anni, si è diplomato da qualche anno e studia fotografia a Mosca. Ha l’intelligenza di capire che qualcosa di importante sta succedendo e la curiosità e l’energia per documentare il cambiamento. “Allora non avevamo idea di come fosse il mondo dall’altro lato della Cortina di ferro. Guardavamo film doppiati nei vecchi cinema sovietici e cercavamo di captare un po’ di rock’n’roll alla radio sulla Bbc o Voice of America. Su Soviet Photo, l’unica rivista fotografica dell’Unione Sovietica, era impossibile vedere immagini contemporanee. Ma avevo capito che il tempo del cambiamento stava arrivando e che dovevo scendere in strada a scattare le mie foto”.

È così che Mukhin comincia a fotografare. Per raccontare i diversi aspetti della quotidianità e le implicazioni sociali e culturali del grande progetto di “ricostruzione” in corso. Ritrae le strade delle città che lentamente si aprono al mondo esterno, i volti dei cittadini sovietici, quelli impauriti dal cambiamento e quelli che lo aspettavano e che ora lo incarnano, e poi gli oggetti e i luoghi che in questi anni acquistano significati nuovi, perché finalmente vengono osservati con occhi nuovi e da prospettive prima sconosciute. Una vecchia automobile Volga, per esempio, una gigantografia di Brežnev in pezzi, una via dissestata nei pressi del Cremlino.

Ma soprattutto Mukhin vive in prima persona, segue e documenta la nascita e lo sviluppo della scena rock russa, una piccola rivoluzione che è forse tra le manifestazioni più significative della perestrojka. Tutti suonano, a Mosca e soprattutto a Leningrado, tutti cercano strumenti e dischi, formano band, s’immaginano rockstar, organizzano concerti. È una vertigine di gioia, di eccitazione, l’esplosione - con un trentennio di ritardo - di un fenomeno che aveva già attraversato le società occidentali e di molti dei paesi del patto di Varsavia tra la metà degli anni sessanta e i primi settanta.

La nascita di una sottocultura con caratteristiche specificamente russe, che negli anni della transizione influenzerà profondamente diversi aspetti della vita sociale del paese. Mukhin è forse il suo cantore e cronista più appassionato e fedele. Ma è soprattutto il fotografo che meglio ha restituito il fermento, l’incertezza, la speranza e lo stupore che hanno segnato gli ultimi anni dell’Unione sovietica e i primi passi della Russia moderna e democratica.

(Andrea Pipino)

Le foto di Igor Mukhin sono esposte nella mostra Générations de l’Urss à la nouvelle Russie, 1985-2021, in programma fino al 9 gennaio alla Maison de la photographie Robert Doisneau a Gentilly, vicino a Parigi.

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