Il Giappone estende lo stato di emergenza
In una conferenza stampa il 4 maggio, il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha esteso lo stato di emergenza fino alla fine di maggio, per il timore che l’allentamento delle misure di contenimento possa causare una seconda ondata di contagi che graverebbe sugli ospedali già in difficoltà. Abe aveva dichiarato il 7 aprile lo stato di emergenza di un mese a Tokyo e in altre sette prefetture, poi esteso a tutto il paese. Le misure sono molto meno rigide di quelle introdotte negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei e non prevedono multe o altre punizioni per chi non le rispetta.
I casi confermati di covid-19 in Giappone sono 15.789 (dati aggiornati al 3 maggio) e 549 persone sono morte. Il numero di contagi giornalieri sembra essersi stabilizzato dopo il picco di 201 registrato il 17 aprile. Il paese però è stato criticato per aver fatto pochi tamponi: 1,3 ogni mille abitanti, contro i 12 della Corea del Sud e i 18 degli Stati Uniti.
Diversi mezzi d’informazione locali hanno sottolineato anche un’altra conseguenza che la pandemia potrebbe avere in Giappone: spostare l’inizio dell’anno accademico da aprile a settembre, in linea con quasi tutto il resto del mondo. L’idea era già stata presa in considerazione diverse volte in passato, ed era stata sempre accantonata. Ma adesso, con le scuole chiuse dall’inizio di marzo come misura di precauzione contro il virus, alcuni studenti e governatori hanno riacceso il dibattito.
Più di ventimila persone hanno firmato una petizione online lanciata il 19 aprile da due liceali di Osaka. Per loro la modifica, pur richiedendo una serie di aggiustamenti sociali, avrebbe l’effetto di favorire gli scambi con l’estero e di riformare il sistema educativo e sociale. I critici, invece, sottolineano la necessità di concentrare gli sforzi sulla lotta al coronavirus e sulla promozione della didattica a distanza per eliminare le disuguaglianze che attraversano il sistema scolastico del paese.
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