Il caldo da solo non basta a contenere il virus
A febbraio, quando negli Stati Uniti venivano registrati i primi casi di covid-19, il presidente Donald Trump ha detto che il virus sarebbe sparito “miracolosamente” ad aprile, con il caldo. Questa speranza, basata sull’ipotesi che il nuovo coronavirus si comporti come il virus dell’influenza stagionale, si è diffusa rapidamente in tutti i paesi colpiti. Questo nonostante ci fossero molti dubbi e gli studi scientifici sull’argomento non avessero raggiunto una conclusione chiara.
Un nuovo studio, condotto dai ricercatori di sei istituti accademici, cerca di fare un po’ di chiarezza sul tema. Gli scienziati hanno analizzato l’impatto delle temperature sul virus studiando i dati raccolti in 3.739 località in tutto il mondo. Poi hanno creato un modello per prevedere la diffusione del covid-19 tra il 1 maggio del 2020 e il 30 aprile del 2021, usando i dati sulle temperature del 2019.
I ricercatori sono partiti dal numero di riproduzione di base (R0), cioè il numero di nuovi casi generati in media da una persona infetta, fondamentale per capire la trasmissione della malattia. Nella maggior parte dei luoghi analizzati il valore R0 per il covid-19 è tra i 2 e i 3 nuovi contagiati per ogni persona infetta. Gli scienziati sostengono che per tenere l’epidemia sotto controllo il valore deve essere sotto 1.
Poi hanno cercato di capire come questo valore cambia in funzione di una serie di fattori climatici (le temperature medie diurne e notturne, i raggi ultravioletti, l’umidità, la pressione e le precipitazioni) e per via dell’inquinamento dell’aria. La mappa interattiva che segue mostra come cambia il rischio di diffusione del covid-19 in base alle temperature.
I ricercatori ipotizzano che l’aumento delle temperature e dell’umidità, unito a una maggiore esposizione delle persone ai raggi ultravioletti, possano portare una riduzione “modesta” nella diffusione del virus. “Ma”, continua lo studio, “il cambiamento delle temperature da solo non è sufficiente a contenere del tutto la trasmissione del covid-19. Significa, concretamente, che senza il distanziamento sociale e altre precauzioni, i paesi che vanno incontro all’estate non dovrebbero vedere riduzioni significative nella diffusione del virus a causa del caldo. Per i paesi che vanno incontro a inverni freddi contenere il virus sarà ancora più difficile”.
“Non sappiamo del tutto perché le temperature alte limitano la diffusione del virus”, scrive il New York Times. Secondo Akiko Iwasaki, immunologo a Yale, le persone sono più vulnerabili alle infezioni e altri virus respiratori quando l’aria che respirano è fredda e, soprattutto, secca. In queste condizioni i droplet, le goccioline che veicolano il virus quando sono espulse dal naso o dalla bocca delle persone infette, restano in aria più a lungo. Quindi è più probabile che finiscano per infettare qualcuno.
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