Il diritto di protestare è garantito dalla costituzione statunitense, e qualsiasi tentativo faccia il governo per negarlo deve essere considerato un affronto ai nostri valori più preziosi. Il vandalismo e le violenze che per più di un mese hanno macchiato le proteste pacifiche di Portland, in Oregon, sono qualcosa di diverso: un danno arrecato a cittadini incolpevoli e un regalo politico per il presidente Donald Trump.

Come prevedibile, Trump ha approfittato dei disordini a Portland per distogliere l’attenzione dalla pandemia e sfruttare le divisioni del paese, sempre più profonde e molto utili per i suoi obiettivi politici. In nome della sicurezza, il presidente ha militarizzato le forze di polizia. Gli agenti sembrano aver ricevuto l’ordine di gettare benzina sul fuoco di una situazione già molto tesa dopo una lunga serie di manifestazioni. Queste truppe – non si possono chiamare in altro modo – ricordano le milizie dei regimi dittatoriali: si spostano su veicoli che non hanno segni di riconoscimento, prelevano i manifestanti dalle strade senza motivo e non hanno sulle uniformi nomi o codici identificativi.

Trump ha sfruttato la presenza della sinistra radicale per definire tutti i manifestanti “anarchici” e avere un pretesto per giustificare l’invio delle truppe, che non erano state richieste dalle autorità locali. Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, in ritardo nei sondaggi e con decine di migliaia di nuovi casi di covid-19 al giorno, in futuro Trump potrebbe riproporre questa strategia anche in altre città.

L’odio e le divisioni del paese sono alla base della dottrina politica di Trump e della sua strategia per la rielezione. Il presidente è contento se la tensione sale, e il suo scriteriato ricorso alla forza serve a ottenere proprio questo. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1368 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati