Nemmeno una tragedia è bastata a rasserenare i rapporti tra Francia e Regno Unito. Il 24 novembre, dopo che 27 persone sono morte mentre tentavano di attraversare la Manica gelata a bordo di un gommone, per un breve momento è sembrato che la tensione tra il primo ministro britannico Boris Johnson e il presidente francese Emmanuel Macron potesse allentarsi. Ma non è stato così. Dietro il conflitto sui migranti, infatti, c’è un problema di fondo: i due paesi sono separati da uno stretto braccio di mare e da un ampio golfo di sfiducia.

In quest’ultima vicenda nessuno dei due è esente da colpe. Il giorno dopo la tragedia, senza avvertire i francesi, Johnson ha pubblicato su Twitter una lettera rivolta a Macron in cui esponeva alcune idee per migliorare la cooperazione alle frontiere, come l’invio di soldati e agenti di polizia britannici per pattugliare le spiagge francesi, ipotesi che la Francia aveva già respinto perché violava la sua sovranità nazionale. Inoltre la lettera proponeva un accordo per riportare indietro i migranti che arrivano nel Regno Unito, ma i francesi hanno chiarito che questo aspetto dev’essere affrontato con l’intera Unione europea, non a livello bilaterale.

Macron, che si trovava a Roma per la firma del trattato di amicizia franco-italiano, ha commentato con stizza che la lettera era “poco seria” e che non era abituato a gestire la diplomazia su Twitter. Eppure pochi giorni prima il servizio diplomatico francese aveva pubblicato proprio su Twitter un video in cui il ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian definiva Johnson “un populista che usa ogni mezzo a sua disposizione per incolpare gli altri dei suoi problemi interni”. “Serio” non è neanche l’aggettivo più adatto per definire la scelta del ministro dell’interno francese Gérald Darmanin di ritirare l’invito alla sua collega britannica Priti Patel per l’incontro sulla crisi dei migranti che si è svolto il 28 novembre a Calais, a cui hanno partecipato la Commissione europea e i ministri dell’interno di Paesi Bassi, Belgio e Germania.

Dietro questo scambio di insulti, secondo Parigi ci sono due problemi di fondo. Il primo è che i francesi hanno concluso di non potersi fidare completamente del governo di Johnson. Anche se Macron non ha mai gradito la Brexit, perché indebolisce l’Unione europea, non è questa la causa della sua irritazione. Nel 2018, due anni dopo il referendum, Macron ha partecipato con entusiasmo al vertice franco-britannico di Sandhurst, nella speranza di costruire un rapporto più solido con il Regno Unito in materia di sicurezza e difesa. Ma i francesi sono rimasti senza parole di fronte ai tentativi dei britannici di non rispettare alcune parti dell’accordo che loro stessi avevano firmato sull’uscita dall’Unione europea. Alla vigilia del vertice del G7 che si è tenuto a giugno in Cornovaglia, Macron ha dichiarato che “questo significa che niente può essere rispettato”. Come per dargli ragione, poco dopo sono stati rivelati i dettagli della conversazione tra lui e il premier britannico, a proposito di confini e salsicce, che hanno fatto sembrare Macron uno sciocco.

A settembre i francesi sono stati colpiti nell’orgoglio dall’Aukus, un patto strategico tra Regno Unito, Stati Uniti e Australia che è stato negoziato alle loro spalle e ha stracciato il loro accordo per vendere sottomarini all’Australia e farne il pilastro della strategia di Parigi per la regione indo-pacifica. I francesi dicono che da quel momento Washington ha cercato di ricucire lo strappo, al contrario di Londra. L’unico modo per farsi capire dai britannici in questo momento, hanno concluso, è con una dimostrazione di forza.

Un problema elettorale

Il secondo problema è che la vecchia abitudine britannica di dare la colpa ai francesi, soprattutto quando aiuta a distogliere l’attenzione dalle questioni interne, sta diventando complicata a livello politico. Ad aprile Macron dovrà affrontare le elezioni presidenziali: ha bisogno di presentarsi come un paladino degli interessi francesi e non può tollerare alcun affronto. In base all’accordo di Le Touquet firmato nel 2003, la Francia permette agli agenti britannici dell’immigrazione di controllare l’accesso al Regno Unito nei porti francesi sulla Manica (e viceversa). Diversi candidati a destra di Macron hanno promesso che consentiranno ai migranti di imbarcarsi liberamente per il Regno Unito. Le reazioni esagerate del governo di Macron contraddicono la sua pretesa disponibilità a un dialogo serio, ma come sottolinea un funzionario francese “è difficile avere una vera conversazione se il primo istinto dei britannici è sempre quello di dare la colpa a noi”.

In particolare i francesi non gradiscono l’accusa di non fare la loro parte nel pattugliamento delle coste o nell’accoglienza dei profughi. Negli ultimi anni, anche grazie ai fondi britannici, la Francia ha costruito alte barriere e ha intensificato i controlli sui carichi merci che lasciano il paese attraverso il tunnel della Manica, per impedire ai migranti di raggiungere il Regno Unito. Questo però ha spinto le persone a tentare la via del mare a bordo di piccole imbarcazioni.

Dall’inizio dell’anno la guardia costiera francese ha salvato 7.800 migranti. Le autorità francesi hanno arrestato 1.552 trafficanti di esseri umani e smantellato 44 organizzazioni. Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2020 la Francia ha ricevuto 93.475 richieste d’asilo, il numero più elevato tra i paesi dell’Unione europea dopo la Germania, mentre il Regno Unito appena 36.041. Ma molti hanno dei familiari nel Regno Unito e non vogliono restare in Francia. Alcuni restano solo poche ore sul suo territorio. Parigi vorrebbe più cooperazione da parte dei paesi vicini, come Belgio e Germania, per sgominare le organizzazioni che portano i migranti fino alle spiagge francesi.

“Il problema è che sia la Francia sia il Regno Unito vedono le azioni dell’altro attraverso la loro lente”, hanno scritto Michel Duclos e Georgina Wright in una nota per l’istituto Montaigne. “Nessuno pensa che l’altro voglia davvero migliorare la cooperazione”. Nel lungo periodo i due paesi dovranno necessariamente ricostruire la fiducia reciproca e collaborare, ma a breve termine le possibilità di riportare la serenità sulle due sponde della Manica sembrano tristemente scarse. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1438 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati