Ad assumere la protagonista per dare lezioni di francese alla figlia, all’ultimo piano di un edificio in un quartiere di Tokyo in ristrutturazione, è una signora che si chiama Ogawa. Che sia un omaggio? In effetti, si pensa spesso alle storie di Yoko Ogawa leggendo questo secondo romanzo di Élisa Shua Dusapin. Cos’hanno in comune la grande autrice giapponese e questa giovane scrittrice franco-coreana che vive in Svizzera? Lo stesso senso dell’irruzione dell’estraneità nelle situazioni più banali, la stessa arte della follia inquietante sul punto di uscire dai binari, la stessa attenzione alla chiaroveggenza dell’infanzia di fronte agli adulti in declino. La ginevrina Claire è in visita dai suoi nonni coreani a Tokyo e deve insegnare a una ragazza giapponese la lingua che ha potuto imparare da sua madre, un’insegnante di francese. Il libro scava in questo cumulo di identità traballanti come in un mucchio di sabbia fine. Le radici di ogni personaggio sono fragili, sul punto di inaridirsi, e si abbeverano di miraggi. Un po’ come nel pachinko menzionato nel titolo, un gioco che consiste nel guardare delle biglie di metallo cadere attraverso un flipper verticale in uno schianto assordante e ipnotizzante. La crisi d’identità rende tutti fluttuanti e disorientati, e questo porta il libro al limite del soprannaturale. Escursioni nauseabonde in ridicoli parchi divertimento, viaggi senza meta su linee circolari della metropolitana, passeggiate sotto la pioggia tra pubblicità asfissianti: ogni esistenza è governata dall’assurdo in questo romanzo insolito e potente.
Marine Landrot, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati