Ottessa Moshfegh (John Francis Peters, Guardian/Eyevine/Contrasto)

I lettori sono catapultati fin dalla prima pagina nel massacro degli abitanti di un villaggio medievale da parte di banditi rapaci. Pagati da Villiam, il signore che possiede la terra, i banditi sono stati inviati per attaccare i contadini ogni volta che provano ad alzare la testa. Un modo per controllarli. Ma questa volta, gli abitanti del villaggio reagiscono. Spaccano un piede a un bandito, poi lo mettono alla gogna e lo cospargono di escrementi di animali. L’arazzo della violenza è disegnato meticolosamente, ma il libro si concentra rapidamente su un pastore di agnelli analfabeta, Jude, e su suo figlio di tredici anni, Marek. Jude, un lontano parente di Villiam, è un sadomasochista che si frusta da solo e incoraggia il figlio a fare lo stesso. Racconta a Marek che sua madre è morta dandolo alla luce, anche se in realtà è fuggita dopo che Jude l’ha ripetutamente violentata, e ha tentato di abortire il bambino. Quando Marek lancia un sasso contro Jacob, il figlio benestante di Villiam, in un impeto di rabbia per la loro situazione di disparità, Jacob scivola da una scogliera e muore. Jude, che segue il principio dell’occhio per occhio, fa uno scambio con Villiam: Marek per il corpo di Jacob. La storia dell’ascesa di Marek dopo che suo padre lo lascia con Villiam s’intreccia con il raccapricciante passato della sua famiglia. È un videogioco biblicamente violento in cui scorrono immagini oltraggiose di cannibalismo medievale, stupri, deformità e incesti. Le scene raccapriccianti sono intervallate di tanto in tanto da una strana tenerezza. Le descrizioni di Moshfegh sono in linea con i temi della pittura cosiddetta grottesca: con il suo fascino per la bruttezza e le bocche aperte. L’umanità, nella rappresentazione della scrittrice statunitense della vita nel villaggio feudale, con il suo tripudio di odori nocivi e i suoi vividi dettagli sensuali, è fondamentalmente crudele, anche se questa crudeltà, perpetuata soprattutto dai personaggi maschili, è caotica e arbitraria nelle sue particolari manifestazioni. Con il suo nichilismo deliberato e le sue frasi di fredda bellezza, questa favola è al servizio di un’incredibile adorazione della misantropia.
Anita Felicelli, The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati