Ian McEwan (David Levenson, Getty)

Il nuovo romanzo di Ian McEwan ti arriva addosso come una palla da bowling diretta verso uno strike perfetto. È un esercizio di virtuosismo da tarda carriera (McEwan ha 77 anni), un gesto da maestro consumato. È un libro melodrammatico: ci sono omicidi, quasi rapimenti, un bambino morto per negligenza, trame di vendetta, tesori sepolti e incendi. Gli scrittori trattano i manoscritti e le reputazioni altrui come William Tecumseh Sherman mise a ferro e fuoco la Georgia durante la guerra di secessione americana: nessuno qui è un modello di moralità. Nel 2120 la civiltà è crollata. Due studiosi attraversano un’Inghilterra devastata, minacciati da bande di briganti, alla ricerca di un poema perduto, Corona per Vivien. Sono forse gli ultimi storici rimasti. Sotto questa superficie avventurosa McEwan costruisce però un romanzo meditato: una riflessione sul dovere dei biografi, sulla natura della storia e sulle tracce che lasciamo. È anche un libro sulle mogli talentuose di grandi scrittori, sulle loro frustrazioni, gli amori, i tradimenti, l’intelligenza artificiale e la lettura ad alta voce dei poeti. Nel ventiduesimo secolo il mondo è devastato da populismi, guerre per le risorse, disastri climatici e intelligenze artificiali fuori controllo. Un accademico, Thomas Metcalfe, studia un poeta scontroso, Francis Blundy, che nel 2014 aveva letto e donato alla moglie l’unica copia del poema perduto durante una cena in campagna. Con la studiosa Rose, Thomas parte alla sua ricerca. McEwan ricostruisce la cena del 2014 in modo brillante: fuochi accesi, coppie in crisi, vecchi rancori che riemergono. Ricostruisce grazie a email, diari e ricerche online, in un futuro in cui nessun segreto digitale è più al sicuro. “Se volete custodire i vostri segreti”, avverte Thomas, “sussurrateli all’orecchio del vostro amico più caro. Non fidatevi della tastiera: sapremo tutto”. Thomas, raccontando la storia, inventa un po’; per Rose è un sacrilegio. Ma lui rivendica la vitalità contro “la neutralità accademica”. Mentre nel futuro l’umanità campa a barrette proteiche e nostalgia, la storia di Vivien, la moglie del poeta, riaffiora con forza vendicativa. Quello che possiamo sapere non è forse un capolavoro, ma è magnifico e terribile insieme.
Dwight Garner, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1639 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati