La Cina è il più grande sviluppatore al mondo di nuovi farmaci dopo gli Stati Uniti. Nel 2024 le sue aziende hanno condotto quasi un terzo delle sperimentazioni cliniche del mondo, contro il 5 per cento del 2020. Il paese asiatico sta anche avanzando in vari settori cruciali della ricerca, compreso quello sul cancro. Gli investitori se ne sono accorti: quest’anno le azioni delle aziende biotech cinesi sono aumentate del 110 per cento, più del triplo rispetto alle concorrenti statunitensi.

Per gran parte del novecento la scoperta di nuovi farmaci è stata dominata da grandi aziende europee e statunitensi, spesso indicate con l’espressione big pharma. Oggi non è più così. Per queste aziende si avvicina la più consistente scadenza di brevetti della storia: entro il 2030 riguarderà farmaci che nei prossimi sei anni dovrebbero generare ricavi per più di trecento miliardi di dollari. Le aziende occidentali stanno correndo ai ripari cercando ovunque molecole promettenti, e sempre più spesso le trovano in Cina. Tutto questo succede mentre gli Stati Uniti intendono ridurre la loro dipendenza dalle catene di fornitura cinesi. La Casa Bianca è preoccupata, per esempio, del controllo cinese sui principi attivi dei farmaci. Eppure, quando si tratta di sviluppare la prossima generazione di medicinali è probabile che la dipendenza da Pechino sia destinata a crescere.

A maggio la Pfizer, la più grande casa farmaceutica statunitense, ha accettato di pagare 1,25 miliardi di dollari all’azienda biotech cinese 3SBio per i diritti di produzione e vendita fuori della Cina di un farmaco sperimentale contro il cancro, se sarà approvato. A giugno la britannica GlaxoSmithKline ha concluso un accordo da cinquecento milioni di dollari con la cinese Hengrui per una cura contro le malattie polmonari e l’opzione di acquisto di altri undici farmaci, il cui valore potenziale complessivo potrebbe arrivare a dodici miliardi se la Hengrui superasse alcune tappe specifiche nel loro sviluppo. Nella prima metà di quest’anno quasi un terzo degli accordi di licenza firmati dalle grandi case farmaceutiche ha avuto come controparte aziende cinesi. Fino a non molto tempo fa l’industria farmaceutica cinese era conosciuta soprattutto per i farmaci generici, per la fornitura di ingredienti e la gestione di sperimentazioni per conto delle aziende occidentali. Nell’ultimo decennio il settore si è reinventato: i processi di approvazione sono stati snelliti; sono state introdotte revisioni prioritarie per i farmaci destinati a trattare patologie critiche; la regolamentazione è stata avvicinata agli standard internazionali.

Tra il 2015 e il 2018, inoltre, il personale dell’agenzia cinese del farmaco è quadruplicato permettendo di smaltire un arretrato di ventimila domande per nuovi farmaci in soli due anni. Il tempo necessario per ottenere l’autorizzazione agli studi clinici sull’essere umano è passato da 501 a 87 giorni. La produzione di nuovi farmaci è aumentata in modo impressionante: nel 2015 la Cina ne aveva approvati solo undici, per lo più importati dall’occidente; nel 2024 è arrivata a 93, il 42 per cento dei quali sviluppati nel paese.

Queste riforme sono state accompagnate da iniziative studiate per far rientrare studenti e professionisti dall’estero. Molte delle “tartarughe marine” cinesi, come sono definite le persone che rientrano, sono tornate con esperienza nella creazione di aziende biotech e nella gestione degli investimenti.

I primi segnali di successo non mancano. Nel novembre 2019 la BeOne Medicines è diventata la prima azienda biotech cinese a ottenere l’approvazione della Food and drug administration (Fda) statunitense per un medicinale anticancro. La vera svolta, però, è arrivata nel settembre 2025, quando un farmaco contro il tumore al polmone della Akeso Bio ha superato nei trial clinici Keytruda, la terapia di punta della Merck.

Nel 2026 scadranno in Cina i brevetti sul principio attivo di Wegovy e Ozempic

Sicurezza e somministrazione

Come si spiega un’ascesa così rapida? Una prima risposta è la capacità d’innovare molto velocemente nello sviluppo dei cosiddetti fast followers, o farmaci imitativi, cioè farmaci che migliorano la sicurezza o la somministrazione di quelli già esistenti. Partendo da lì le aziende cinesi sono passate allo sviluppo di medicinali first-in-class, ossia farmaci innovativi.

Secondo una ricerca pubblicata nel 2024 sulla rivista scientifica Nature Reviews Drug Discovery da Zimeng Chen, della Tsinghua university di Pechino, e dalla sua squadra di ricercatori, i farmaci imitativi e i farmaci innovativi rappresentano ormai più del 40 per cento di quelli in fase di sviluppo.

La seconda risposta riguarda la rapidità, le dimensioni e i costi ridotti degli altri processi. Le aziende cinesi possono portare un farmaco dalla fase di scoperta all’inizio delle sperimentazioni sull’essere umano in circa la metà del tempo della concorrenza. Anche i trial clinici, di solito la fase più lenta, procedono più rapidamente. Un bacino enorme di pazienti facilita il reclutamento, e una vasta rete di centri di sperimentazione velocizza ulteriormente le operazioni. Il modello si è rivelato particolarmente utile per lo sviluppo degli anticorpi coniugati, una nuova classe di farmaci oncologici che sembra particolarmente efficace.

I farmaci per la perdita di peso sono un nuovo bersaglio molto ambito. Nel 2026 scadranno in Cina i brevetti sul semaglutide, il principio attivo di Wegovy e Ozempic, i popolari farmaci dimagranti prodotti dalla danese Novo Nordisk. Questo ha scatenato una corsa alle versioni generiche. Ma le aziende cinesi non si limitano a copiare: secondo Bloomberg Intelligence, nel mondo sono in fase di sviluppo 160 nuovi farmaci antiobesità, e circa un terzo proviene dalla Cina.

Anche se il paese asiatico è il secondo mercato farmaceutico al mondo dopo gli Stati Uniti, resta un posto difficile per fare profitti. L’azienda di consulenza McKinsey stima le vendite di farmaci con prescrizione in circa 125 miliardi di dollari nel 2023, un sesto rispetto a quelle negli Stati Uniti.

La maggior parte delle vendite, inoltre, riguarda i generici. I nuovi farmaci rappresentano solo un quinto del mercato. Lo stato copre la maggior parte degli acquisti, costringendo le aziende a vere e proprie guerre di offerte. Per ottenere la copertura, le case farmaceutiche devono spesso tagliare i prezzi della metà o anche di più. In alternativa devono accontentarsi di un mercato privato molto più ristretto. Tutto questo spiega perché gli Stati Uniti e altri mercati esteri sono molto ambiti. La via più comune per accedervi passa attraverso accordi di licenza con aziende occidentali. Ma adesso alcune aziende cinesi vogliono una fetta più grande della torta. Un modo per ottenerla è aprire un’azienda biotech negli Stati Uniti distinta dalla casa madre (NewCo), spesso sostenuta da investitori stranieri, e trasferire al suo interno le tecnologie più promettenti. La farmaceutica cinese appare particolarmente conveniente agli occhi degli occidentali: il valore di mercato delle biotech cinesi quotate è inferiore del 15 per cento rispetto a quello delle concorrenti statunitensi; gli anticipi sulle licenze sono di solito più bassi di due terzi; il valore degli accordi è la metà.

Il modello della NewCo può contribuire a ridurre alcune preoccupazioni politiche legate alla farmaceutica cinese all’estero, ma ne restano molte altre, in particolare quelle sulla privacy. La condivisione dei dati dei pazienti provenienti dalle sperimentazioni cliniche è complicata dalle norme sulla riservatezza e dai relativi processi di revisione. La Fda ha adottato un approccio severo nell’approvazione di farmaci basati su trial condotti solo in Cina. A giugno ha bloccato qualsiasi nuova sperimentazione clinica che esportasse dati genetici dei pazienti statunitensi. Un rapporto pubblicato ad aprile da una commissione del congresso statunitense avverte che la forza della Cina nella scoperta di farmaci, combinata ai progressi nell’intelligenza artificiale, potrebbe presto permettere alle sue aziende di superare quelle statunitensi, ed esprime preoccupazione sui rischi legati alla sicurezza in campo farmaceutico e biotecnologico.

Ci sono però anche motivi per un cauto ottimismo. Più concorrenza permetterà di avere più farmaci a prezzi più bassi, fatto particolarmente importante per chi ha bisogno di cure nei paesi poveri. Le aziende farmaceutiche cinesi dovranno affrontare tre sfide cruciali: inventare terapie innovative efficaci, penetrare in nuovi mercati e superare gli ostacoli normativi. Wang Xingli, della casa farmaceutica Fosun Pharma, osserva che la maggior parte dei colossi occidentali ha impiegato un secolo per raggiungere il livello attuale. Per questo ritiene che il settore farmaceutico cinese sia ancora “in una fase molto precoce”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati