Dopo un processo durato 156 giorni e seguito in tutto il mondo, il verdetto dell’alta corte di Hong Kong contro Jimmy Lai, imprenditore dei mezzi d’informazione e attivista per la democrazia, è stato motivato con un documento di 850 pagine. Questi numeri mostrano che il governo cinese aveva bisogno di giustificare al mondo la sentenza di questo processo farsa, anche per affermare il presunto impegno della città a rispettare lo stato di diritto dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1997.

Descritto come l’istigatore delle manifestazioni per la democrazia del 2019, Lai è stato condannato per cospirazione con forze straniere e per aver pubblicato contenuti sovversivi sul giornale indipendente Apple Daily, fondato negli anni novanta e non più in attività. Lai, che ha sempre respinto le accuse, rischia una condanna all’ergastolo. Arrestato per la prima volta nel 2020, ha passato quasi cinque anni in carcere, condannato in precedenza per il suo coinvolgimento nelle proteste “non autorizzate” contro il governo, per la sua partecipazione nel 2020 a una veglia per l’anniversario di piazza Tiananmen e per presunte frodi attraverso Next Media, il suo gruppo editoriale.

Accusato di aver sostenuto le sanzioni internazionali contro Hong Kong, ha insistito di non averlo fatto dopo l’entrata in vigore nel 2020 della severissima legge sulla sicurezza (Nsl), usata dalle autorità per reprimere il dissenso. Tuttavia la giudice Esther Toh ha dichiarato che “l’unica ragionevole conclusione che possiamo trarre è che l’unico intento dell’accusato, prima o dopo la Nsl, fosse quello di provocare la caduta del Partito comunista cinese”. E questo nonostante la stessa giudice avesse garantito che Lai non era sotto processo per le sue convinzioni politiche.

Nel frattempo, sotto la pressione delle autorità, il 14 dicembre ha votato il proprio scioglimento il Partito democratico, la principale forza politica a sostegno della democrazia a Hong Kong, attiva da trent’anni. Pechino ha “riformato” il sistema elettorale della città accettando solo candidati “patriottici” alle elezioni locali. Il nuovo sistema non sembra aver convinto l’opinione pubblica, visto che alle legislative del 7 dicembre è stata registrata un’affluenza tra le più basse di sempre. Questo è stato il verdetto del popolo, ma a Pechino non sembra importare. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati