La ricerca dell’Italia di un cavaliere bianco che possa salvare la più grande acciaieria d’Europa ha fatto un passo avanti: due fondi d’investimento statunitensi, Bedrock industries e Flacks group, hanno presentato delle offerte vincolanti per l’ex Ilva. Il governo sta cercando disperatamente di trovare un nuovo proprietario per l’azienda, il cui impianto principale è a Taranto, attualmente sotto amministrazione straordinaria dopo essere stato sottratto al controllo dell’ArcelorMittal quasi due anni fa. Michael Flacks, nato nel Regno Unito e fondatore del gruppo omonimo, ha i suoi interessi soprattutto negli Stati Uniti, dove ha fatto fortuna risanando industrie pesanti in crisi per problemi ambientali. La Bedrock industries, invece, è un fondo privato fondato da Alan Kestenbaum, concentrato sugli investimenti nel settore dei metalli e dei minerali. Quest’anno Kestenbaum è stato definito dagli investitori “una leggenda del settore siderurgico”. I commissari dell’ex Ilva, ora rinominata Acciaierie d’Italia, hanno dichiarato che “la procedura di gara rimane aperta: come previsto dal bando, eventuali ulteriori soggetti interessati potranno presentare una propria offerta purché migliorativa rispetto a quelle già pervenute”.

Il tentativo di trovare una nuova proprietà per uno degli asset più problematici del paese – da tempo alle prese con le ripercussioni ambientali della sua attività – arriva in un momento in cui l’industria europea dell’acciaio fa i conti con la sovrapproduzione globale, il calo della domanda, i costi energetici elevati e gli investimenti per la decarbonizzazione dell’Unione europea. A penalizzare le esportazioni sono arrivati anche i dazi statunitensi. Secondo Eurofer, l’associazione che rappresenta le acciaierie europee, negli ultimi 15 anni il settore ha perso più di centomila posti di lavoro.

Cassa integrazione

Dal 2012, quando l’Ilva è stata coinvolta in una causa per danni ambientali, Roma ha investito più di due miliardi di euro nella speranza di mantenerla in vita e salvare i suoi diecimila posti di lavoro. Di questa cifra, più di 1,4 miliardi di euro sono stati stanziati dal governo Meloni negli ultimi tre anni, compresi i 108 milioni approvati a novembre. L’impianto di Taranto ha quattro forni con una capacità produttiva originaria di dieci milioni di tonnellate d’acciaio all’anno. Al momento solo un forno funziona a pieno regime, un altro è stato danneggiato gravemente in un incendio e altri due funzionano a capacità ridotta. Quest’anno la produzione non dovrebbe superare i due milioni di tonnellate. Il governo ritiene che l’azienda abbia bisogno di almeno cinque miliardi di investimenti per costruire nuovi forni elettrici e trasformarsi in un produttore all’avanguardia di acciaio verde.

I dipendenti in cassa integrazione sono più di 4.450 su diecimila. Roma ha fatto presente che a questi nelle prossime settimane se ne potrebbero aggiungere altri 1.500 o che questi potrebbero essere invitati a seguire corsi di riqualificazione. I lavoratori temono che una vendita dell’azienda rappresenti il preludio alla chiusura definitiva o allo smembramento. In precedenza il governo italiano aveva trattato la vendita con l’impresa azera Baku steel, che però si è ritirata in autunno dopo che il sindaco di Taranto ha manifestato la sua forte opposizione alla proposta di avere un impianto di rigassificazione, indispensabile per produrre acciaio verde. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati