Quando Giulia, vent’anni, ha scoperto di essere incinta, ha subito deciso che non era pronta ad avere un bambino. Sostenuta dal suo ragazzo e dalla famiglia ha cercato assistenza medica nella sua città nelle Marche per capire come interrompere la gravidanza. Da qual momento ha dovuto affrontare difficoltà di ogni tipo: dalle telefonate senza risposta alle sale operatorie chiuse, compreso un medico che ha cercato di farle cambiare idea.

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In Italia l’aborto è stato legalizzato nel 1978 e confermato con un referendum nel 1981. La legge che lo regola ha cancellato un divieto totale introdotto dal dittatore fascista Benito Mussolini, che riteneva l’interruzione di gravidanza un crimine contro la “razza italiana”. Tuttavia, a causa del gran numero di ginecologi che per ragioni di coscienza si rifiutano di praticare aborti – il 64,6 per cento secondo i dati del 2020 – ancora oggi le donne incontrano enormi ostacoli nell’accedere a procedure sicure.

Negli ultimi anni, in diverse regioni italiane, i leader conservatori hanno ostacolato ulteriormente il ricorso all’aborto. Soprattutto nelle Marche, ex bastione della sinistra che dal settembre 2020 è governato da una coalizione guidata da Fratelli d’Italia (FdI), un partito con radici neofasciste che dopo le elezioni legislative del 25 settembre potrebbe diventare la forza principale di una coalizione di governo di destra.

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia che aspira alla carica di presidente del consiglio, ha descritto l’aborto come “una sconfitta”, anche se di recente ha precisato di non avere in programma l’abrogazione della legge del 1978. In ogni caso la situazione nelle Marche, considerate un laboratorio per le politiche di Fratelli d’Italia, è significativa per capire cosa potrebbe succedere se il 25 settembre dovesse vincere la coalizione guidata da FdI, di cui fa parte la Lega di Matteo Salvini, un partito di destra altrettanto ostile all’aborto.

Uno dei primi passi del consiglio regionale marchigiano è stato quello di non applicare le direttive introdotte nel 2021 dal ministero della salute che permettono alle cliniche, e non solo agli ospedali, di fornire la pillola abortiva. Anche se le linee guida del ministero prevedono che l’aborto farmacologico possa essere praticato fino alla nona settimana di gestazione, nelle Marche il limite è stato ridotto a sette settimane. Per legge, dopo aver ottenuto un certificato medico che autorizza l’aborto, in Italia una donna è costretta a “riflettere” per una settimana prima che sia eseguita l’interruzione di gravidanza. “A volte una donna si accorge di essere incinta alla quinta o sesta settimana”, sottolinea Manuela Bora, rappresentante marchigiana del Partito democratico (Pd). “Qui è quasi impossibile abortire. Certo, non possiamo negare che anche prima fosse difficile, ma il problema erano gli obiettori di coscienza. Oggi l’attacco al diritto all’aborto è diventato un tema politico”.

“Ci sono ospedali dove sono tutti obiettori. Un ospedale di Fermo non ha mai applicato la legge sull’aborto”, spiega Tiziana Antonucci

Giulia, la ragazza che voleva sottoporsi all’interruzione di gravidanza, alla fine ha trovato online l’indirizzo di un consultorio di Ascoli Piceno (a quasi due ore di macchina da casa sua) che aiuta chi vuole abortire. Il presidio prepara le donne per gli aborti farmacologici o chirurgici. Questi ultimi vengono eseguiti ogni sabato presso l’ospedale locale da due ginecologi non obiettori provenienti da un’altra regione, che spesso incorrono nelle ire dei manifestanti antiabortisti che si appostano fuori dall’ospedale. Dieci anni fa il servizio è stato affidato all’Aied (Associazione italiana per l’educazione demografica) di Ascoli Piceno, che fornisce assistenza per l’aborto perché la procedura non poteva più essere garantita dall’ospedale: nel personale c’erano troppi obiettori di coscienza. La stessa mattina in cui Giulia si è presentata per ricevere assistenza, il vicepresidente dell’Aied Tiziana Antonucci ha parlato al telefono con altre sei donne che avevano incontrato grandi difficoltà a abortire attraverso il sistema sanitario pubblico. Un’interruzione di gravidanza gestita dall’Aied costa 200 euro, soldi usati per finanziare questo servizio, in una clinica privata il costo è di 1.500 euro. “Ci sono alcuni ospedali dove tutti sono obiettori. Un ospedale di Fermo non ha mai applicato la legge sull’aborto”, spiega Antonucci. “Anche negli ospedali dove non ci sono obiettori il servizio è assolutamente inadeguato. Quando la sinistra era al governo non ha fatto nulla per cambiare la situazione, perché aveva paura di perdere il voto dei cattolici. Abbiamo un diritto ma siamo bloccati in una situazione sempre più difficile”.

Recapitati 1.450 pannolini

La giunta regionale, presieduta da Fratelli d’Italia, vorrebbe consentire agli attivisti contro l’aborto, già presenti negli ospedali dove fanno pressione sulle donne cercando di convincerle a non interrompere la gravidanza, di operare anche nei consultori. “Immaginate una donna che si presenta al consultorio e si trova davanti un gruppo di fanatici”, sottolinea Bora. L’esponente del Pd conosce bene le tattiche degli antiabortisti. Dopo uno scontro sulla questione con l’assessora regionale che ha la delega alle pari opportunità, Giorgia Latini, ha ricevuto 1.450 pannolini (il numero di aborti praticati nelle Marche nel 2019) da un medico che li ha consegnati direttamente nella sede del comune, mentre il figlio del dottore mostrava un cartello che accusava Bora di avere le mani sporche di sangue.

Una delle priorità di Fratelli d’Italia e della Lega è invertire il calo delle nascite in Italia. Un modo per riuscirci, almeno secondo i due partiti, è ridurre gli aborti fornendo incentivi economici per incoraggiare le donne a portare a termine le gravidanze.

“Nel 2020, l’anno in cui sono stato eletto, nella regione sono stati praticati duemila aborti”, sottolinea Filippo Saltamartini, assessore alla salute della regione Marche. “Riuscite a immaginare una piazza piena di così tanti bambini e delle loro madri? Madri che noi avremmo aiutato a prendersi cura dei figli, con una casa e un sostegno economico nei primi anni. Questo è il mondo che immaginiamo”.

Per alcuni questo mondo dovrebbe essere composto esclusivamente da italiani “purosangue”. “La popolazione italiana si sta riducendo. Non dico che gli stranieri non dovrebbero avere figli, ma che dobbiamo creare le condizioni per spingere gli italiani a riprodursi”, spiega Carlo Ciccioli, capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio regionale delle Marche. Ciccioli ha descritto il sostegno all’aborto come “una battaglia di retroguardia” e nel 2021 ha scatenato molte polemiche per aver parlato di “sostituzione etnica” dei bambini italiani nelle scuole. Ciccioli è un medico e ha fatto parte dell’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano (Msi), un partito neofascista fondato da un ministro del governo di Mussolini. Nel 1974 sparò alle gambe a un avversario politico nelle strade di Ancona.

La giunta regionale ha inoltre tolto il patrocinio della regione al gay pride, mentre la presidente della commissione per le pari opportunità ha chiesto di favorire il lavoro part-time per le donne, in modo che possano passare più tempo in cucina.

Un segnale forte della svolta politica nella regione è arrivato il 28 ottobre 2019, quando ad Ascoli Piceno è stata organizzata una cena commemorativa per l’anniversario della marcia su Roma. Alla cena ha partecipato Francesco Acquaroli, governatore della regione, insieme ad alcuni sindaci di Fratelli d’Italia. “Per Fratelli d’Italia le Marche sono un laboratorio”, spiega Paolo Berizzi, giornalista del quotidiano la Repubblica. “È lì che il partito ha fatto le prove generali di ciò che potrebbe fare su scala nazionale. Tra due mesi l’Italia potrebbe essere governata da un partito che non ha mai spezzato i legami con la sua storia fascista”.◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati