Un’inserzione pubblicata il 26 febbraio da due quotidiani contro le azioni di Israele e degli Stati Uniti a Gaza, firmata da centinaia di ebrei italiani, tra cui figure di primo piano del panorama letterario e dell’informazione, ha provocato forti reazioni all’interno della comunità ebraica. L’appello condanna il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che recentemente ha detto di volere espellere i palestinesi dalla Striscia di Gaza per trasformarla in una destinazione turistica. “Trump vuole espellere i palestinesi da Gaza. Intanto in Cisgiordania prosegue la violenza del governo e dei coloni israeliani. Ebree ed ebrei italiani dicono no alla pulizia etnica”.
L’appello, che ne richiama altri già usciti negli Stati Uniti e in Australia, è stato pubblicato a pagamento sulla Repubblica e gratuitamente sul Manifesto. I promotori sono due gruppi ebraici di sinistra: il Laboratorio ebraico antirazzista, composto soprattutto da giovani attivisti, e Mai indifferenti, che ospita componenti più anziani. Molti dei firmatari, comunque, non sono affiliati a nessun gruppo.
Il testo ha acceso il dibattito in Italia, dentro e fuori il mondo ebraico. Gli attivisti filoisraeliani e alcune figure ebraiche di destra hanno risposto con parole al vetriolo, come nel caso di Riccardo Pacifici, vicepresidente dell’Associazione ebraica d’Europa, che l’ha paragonato alla carta igienica (in realtà usando un’espressione più forte). Ma le critiche sono arrivate anche da altri ebrei progressisti, che pure sono contrari alle politiche di Trump e del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Pluralità di pensiero
Un portavoce del Laboratorio ebraico antirazzista, Daniel Levi, dice che l’idea “non era creare una distinzione tra ebrei buoni ed ebrei cattivi, ma mandare il messaggio che esiste una pluralità di pensiero dentro la comunità ebraica. Ci sembrava importante, perché alcune istituzioni stanno dando l’impressione che gli ebrei italiani siano un blocco compatto che sostiene le azioni di Israele. Cosa non vera”. Sabetay Fresco, dell’organizzazione Mai indifferenti, spiega che una delle motivazioni principali è di sensibilizzare “sulla pericolosa situazione internazionale, non solo in Medio Oriente, ma in molte parti del mondo, dove le destre estremiste sono sempre più forti” e contrastare “il silenzio delle istituzioni ebraiche ufficiali”. Secondo Fresco l’appello ha anche contribuito a contrastare l’antisemitismo: “Parte della retorica antisemita cerca di rappresentare gli ebrei della diaspora come un avamposto di Israele, ma noi abbiamo dimostrato che il mondo ebraico non è un monolite a favore di Israele”.
C’è però chi sostiene che azioni di questo tipo avallano l’idea secondo cui gli ebrei della diaspora sono moralmente responsabili delle azioni di Israele e che dunque sono da considerare complici, a meno che non si dissocino apertamente. In certi ambienti, infatti, le figure pubbliche ebraiche che non hanno firmato sono state criticate.
Luciano Belli Paci, avvocato e attivista filoisraeliano di sinistra, dice di essere disgustato dall’appello, anche se condivide il messaggio contro il piano di Trump per Gaza e contro la violenza dei coloni in Cisgiordania. “Il problema sta tutto nella decisione di parlare ‘in quanto ebrei’, perché è come ammettere implicitamente che gli ebrei hanno una sorta di colpa collettiva per quello che sta facendo Israele e dunque devono prendere le distanze”.
Belli Paci fa poi notare che c’è stato l’effetto collaterale di creare un’ondata di attacchi contro alcuni ebrei che non hanno firmato, come è capitato a sua madre, la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto: “All’improvviso sui social media era pieno di gente che diceva ‘come mai Liliana Segre non ha firmato? Ma non si vergogna?’. Ora, io capisco benissimo che non era questo l’intento degli organizzatori, però mi stupisce che non l’abbiano vista arrivare”.
Anche David Parenzo, giornalista televisivo, pensa che l’iniziativa stia alimentando l’antisemitismo: “L’antisemitismo è aumentato nell’ultimo anno, proprio perché si fa confusione tra gli ebrei della diaspora e le azioni di Israele. Questo appello dà l’idea, sbagliata, che i firmatari sono gli ebrei buoni, mentre tutti gli altri ebrei sono cattivi. Sta mettendo la gente nella posizione di doversi giustificare”.
Angelica Calò, un’attivista pacifista italoisraeliana che vive nel kibbutz Sasa, vicino al confine con il Libano, è particolarmente severa: “È inaccettabile che gente che non vive qui, comodamente seduta sul suo divano, se ne esca con una cosa di questo tipo senza menzionare neppure una volta Hamas o il 7 ottobre”, ha detto. “Io sono contrarissima al piano Trump, vado alle manifestazioni per il cessate il fuoco e il ritorno degli ostaggi, ma quelle parole mi sono sembrate completamente prive di empatia, specie nel giorno in cui sono state pubblicate, lo stesso in cui sono stati sepolti i Bibas”, ha aggiunto, riferendosi ai funerali di Shiri Bibas e dei suoi bambini, Ariel e Kfir, rapiti e uccisi a Gaza.
Non in mio nome
Tra chi ha firmato l’appello, però, c’è chi sostiene che l’intenzione non era dire a Israele cosa fare, ma difendere semplici princìpi di decenza umana. Federico Fubini, editorialista del Corriere della Sera, ha scelto di firmare a causa delle dichiarazioni di Trump non solo su Gaza ma anche sull’Ucraina: “Siamo al punto che il leader del paese più potente al mondo dice che le persone possono essere rimosse come oggetti e che i paesi possono essere invasi. La disumanizzazione diventa una norma al livello internazionale. Opporti alla disumanizzazione dell’altro non è un atto politico, è un valore umano e universale”. E ancora: “Non si tratta di dire agli israeliani cosa decidere, cosa che nessuno di noi che non sia cittadino di Israele è in condizioni di fare”.
Sara Buda, una ragazza sui trent’anni, ha “avuto dubbi fino all’ultimo momento” ma alla fine ha deciso di firmare: “Ero un po’ scettica sull’idea di firmare qualcosa in quanto ebrea, specialmente in questo momento in cui l’identità ebraica è sotto attacco. Poi però ho pensato che ci sono persone che difendono le azioni di Israele e sostengono di farlo in quanto ebrei, e mi sono detta che contrastare quelle voci era una priorità. Volevo dire che loro non possono parlare a mio nome”. Buda dice anche di essere “disgustata” da come alcuni stiano usando l’appello per attaccare persone di origine ebraica: “Gli antisemiti riescono sempre a trovare una scusa, distorcere i fatti è la loro specialità e non voglio sentirmi obbligata a stare zitta per colpa loro”. ◆ am
Questo articolo è uscito sul quotidiano israeliano Haaretz.
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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 41. Compra questo numero | Abbonati