Poco dopo essere arrivato sull’isola di Jersey, al largo della costa nordoccidentale della Francia, lo scrittore di viaggi scozzese dell’ottocento Henry David Inglis scoprì una vecchia leggenda. Gli abitanti del posto gli raccontarono che, in un’epoca lontana, l’isola era molto più grande ed era possibile raggiungere a piedi la costa francese. L’unico ostacolo era un fiume, facilmente attraversabile con un piccolo ponte.

Inglis reagì forse con un sorriso sarcastico, pensando ai ventidue chilometri di mare blu e scintillante che separano l’isola dalla terraferma. Nel suo libro sulla regione, pubblicato nel 1832, scrisse che “l’affermazione era troppo ridicola per essere presa sul serio”. Circa centocinquanta anni prima un altro scrittore, Jean Poingdestre, aveva manifestato altrettanto scetticismo. Nessuno avrebbe potuto andare a piedi da Jersey alla Normandia, diceva, “a meno che fosse prima del diluvio universale” citato dall’Antico Testamento.

Angelo Monne

Eppure qualcosa di simile al diluvio universale accadde veramente, e non fu una cosa da poco. Tra i quindicimila e i cinquemila anni fa le imponenti alluvioni causate dallo scioglimento dei ghiacciai alzarono il livello dei mari in tutta Europa. Fu proprio quell’evento a trasformare Jersey in un’isola.

Forse quella vecchia storia, raccontata da antenati che avevano davvero attraversato a piedi terre ormai sommerse, non era ridicola ma un ricordo tramandato attraverso i millenni.

Geomitologia

È proprio ciò che sostengono in un articolo pubblicato di recente il geologo Patrick Nunn e la storica Margaret Cook, della University of the sunshine coast, in Australia. I due studiosi hanno raccolto pittoresche leggende provenienti dall’Europa settentrionale e dall’Australia su acque che si sollevano, penisole che diventano isole e coste che arretrano in quel lontano periodo di scioglimento dei ghiacci. Alcune di queste storie, affermano Nunn e Cook, descrivono un aumento del livello dei mari realmente accaduto. Gli studiosi di storia orale parlano di geomitologia.

“Quando ho letto per la prima volta una leggenda degli aborigeni australiani che evocava un aumento del livello del mare dopo l’ultima era glaciale ho pensato: ‘Non può essere vero’”, ricorda Nunn. “Ma poi ho letto un’altra storia che diceva la stessa cosa”. Da allora Nunn ha raccolto trentadue gruppi di leggende incentrate su cambiamenti geologici e tramandate dalle comunità indigene che vivono lungo le coste dell’Australia, un continente grande quasi quanto l’Europa.

Donna gabbiano

C’è, per esempio, la leggenda di Garnguur, raccontata dal popolo lardil (conosciuto anche come kunhanaamendaa) delle isole Wellesley, nel nord dell’Australia. Parla di una donna gabbiano, Garnguur, che crea delle isole solcando la terraferma con una zattera gigante, o walpa, e passando avanti e indietro attraverso una penisola. In alcune versioni della storia lo fa per punire il fratello, Crane, che non si era preso cura del figlio di Garnguur quando lei glielo aveva chiesto. Nunn e Cook sostengono che la leggenda potrebbe essere basata sul ricordo dello scioglimento dei ghiacciai, avvenuto realmente meno di diecimila anni fa, che separò le isole Wellesley dalla terraferma. È interessante notare, dicono gli studiosi, che tra due delle isole c’è una grande fossa sottomarina, una conformazione del fondale che potrebbe aver ispirato l’idea di Garnguur che trascina la zattera.

Altri popoli indigeni dell’Australia meridionale, tra cui i ngarrindjeri e i ramindjeri, raccontano invece di un’epoca in cui l’isola dei Canguri era collegata alla terraferma. Alcuni dicono che a provocarne il distacco fu una grande tempesta, mentre altri descrivono una serie di massi parzialmente sommersi che un tempo permettevano di raggiungere l’isola a piedi.

Secondo Jo Brendryen, un paleoclimatologo dell’università di Bergen, in Norvegia, che ha studiato gli effetti dello scioglimento dei ghiacci in Europa alla fine dell’ultima era glaciale, l’idea che le leggende orali tramandino ricordi reali dell’aumento del livello dei mari è perfettamente plausibile.

Durante l’ultima era glaciale, dice, l’improvviso scioglimento delle calotte di ghiaccio causò eventi catastrofici: un aumento del livello dei mari rapido ed estremo dovuto a ondate di acqua di disgelo. In alcune aree costiere europee l’oceano potrebbe essersi alzato fino a dieci metri in appena duecento anni. È evidente che un cambiamento così repentino sarebbe stato notato da un buon numero di generazioni di esseri umani.

“Certo, sono solo aneddoti, ma un numero sufficiente di aneddoti diventa un dato da considerare”, spiega Brendryen. “Raccogliendo sistematicamente questo tipo di ricordi o leggende potremmo imparare qualcosa”.

Oltre a catturare eventi storici, i geomiti aprono una finestra sulla vita delle persone che erano presenti a quegli eventi, dice Tim Burbery, un esperto di geomitologia della Marshall university, negli Stati Uniti, che non ha partecipato alla ricerca: “Tutte queste storie sono basate su traumi e catastrofi reali”. Per questo, prosegue, le storie di sconvolgimenti geologici sono state tramandate di generazione in generazione. Forse le società antiche hanno voluto mandarci un avvertimento: state attenti, queste cose possono succedere veramente! “Con il passare del tempo i racconti sono stati mitizzati”, conclude Burbery. “Ma il linguaggio del mito serve a tramandare eventi reali”.

Oggi molte persone provano una sorta di “ecoansia” dovuta alla crisi climatica e ai suoi effetti, compreso un aumento del livello dei mari. Nunn osserva che la nostra situazione è diversa da quelle del passato perché, per esempio, sul pianeta ci sono molti più esseri umani e lungo le coste ci sono grandi città densamente popolate. Inoltre, a differenza di quanto avveniva negli episodi passati di scioglimento dei ghiacci, oggi siamo sia i responsabili sia le vittime del rapido deterioramento dell’ambiente. Ma in un certo senso la vulnerabilità ai cambiamenti climatici ci avvicina ai nostri lontani antenati. E forse le vecchie leggende hanno qualcosa da insegnarci. Come dice Nunn, “il fatto che i nostri antenati siano sopravvissuti a quegli sconvolgimenti ci dà qualche motivo di speranza”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati