Niente giustifica la determinazione politica mostrata dal presidente francese Emmanuel Macron nel far passare a qualunque costo una riforma delle pensioni che non vuole nessuno. Non la vogliono l’opinione pubblica, i sindacati e neanche i parlamentari. Il fastidio per questa ostinazione da presidente autoritario è ancora più giustificato se si pensa che Macron ha sostenuto la riforma ripetendo una serie d’informazioni false sulla situazione finanziaria del paese. L’ultima l’ha usata per giustificare il ricorso all’articolo della costituzione che permette di approvare una proposta di legge senza passare dal voto dei parlamentari: “Penso che, allo stato attuale delle cose, i rischi finanziari ed economici siano troppo grandi”, ha detto Macron, come se la Francia non fosse più in grado di finanziarsi se la riforma non fosse stata approvata.

Nel 2023 il paese prenderà in prestito dai mercati 270 miliardi di euro, la somma più alta di sempre. Da gennaio i finanziamenti stanno andando molto bene: a metà marzo la Francia aveva preso in prestito un terzo del suo fabbisogno annuale, e lo spread franco-tedesco, quel poco d’interesse in più che dobbiamo pagare rispetto alla Germania, è di poco superiore ai cinquanta punti base ed è stabile da molti mesi: ai creditori internazionali non interessa la riforma delle pensioni finché Parigi continua a ripagare il suo debito, come ha sempre fatto. Al contrario, i creditori potrebbero temere le tensioni sociali alimentate dal presidente. Se Macron è davvero preoccupato dal rischio di non riuscire a pagare gli interessi, perché ha deciso di spendere sessanta miliardi di euro per finanziare tagli fiscali durante i suoi primi cinque anni di mandato, seguiti da un ulteriore taglio delle tasse sulla produzione? Il governo deve smettere di pensare che ogni problema possa essere risolto con misure simili.

Un altro argomento a sostegno della riforma è che gli impegni presi dalla Francia in Europa per controllare il debito impongono al paese di mettere mano al suo sistema pensionistico. Se analizziamo meglio questa tesi, è chiaro che in realtà le cose stanno diversamente. Bisogna sapere che le raccomandazioni esterne, che provengano dalla Commissione europea, dall’Ocse o dal Fondo monetario internazionale, sono sempre negoziate tra le istituzioni e gli alti funzionari francesi: il più delle volte cioè sono solo il risultato di una richiesta dei dirigenti francesi di ricevere sostegno alle loro priorità politiche fuori dei confini del paese.

In questo caso, nessuno ha chiesto alla Francia di riformare le sue pensioni. È vero che le istituzioni europee e internazionali mirano a un certo rigore nella gestione dei bilanci statali, in modo da abbassare deficit e debito pubblico, e che chiedono una riduzione della spesa per paura che i governi aumentino le tasse. Ma ogni paese può fare ciò che vuole – tranne che in tempi di crisi – finché il debito rimane sostenibile. E quello francese senza dubbio lo è.

È ancora più facile ignorare un ultimo pretesto finanziario che può essere avanzato dai sostenitori del governo, quello secondo cui le caratteristiche del sistema pensionistico costringerebbero i francesi a lavorare di più. L’elenco delle possibili risorse a cui attingere è lungo: ripensare le esenzioni dei contributi salariali che non creano posti di lavoro, assoggettare i risparmi dei lavoratori ai contributi pensionistici e, naturalmente, aumentare il tasso di occupazione dei giovani e degli anziani. Fare quest’ultima cosa avrebbe dovuto essere il primo passo di qualsiasi riflessione sul futuro del sistema ridistributivo.

Senza dimenticare di aumentare i contributi, non solo per compensare il deficit ma anche per far crescere le pensioni future, il cui calo relativo rispetto al reddito da lavoro dipendente spiega in gran parte perché nei prossimi anni il deficit del regime rimarrà contenuto. Il sistema pensionistico francese ha effettivamente un problema finanziario: ha bisogno di più spese e più entrate. ◆ ff

Christian Chavagneux è un economista francese, editorialista del mensile Alternatives Économiques.

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati