Ci sono persone che sembrano potenti e rispettate da tutti, ma più indaghi su di loro e più sembrano insignificanti. Hal Harvey è il contrario. Più ci s’informa su di lui, più si leggono i suoi saggi e più ci si rende conto di quanto sia una persona importante. Harvey ha 61 anni ed è statunitense. È sconosciuto al grande pubblico, ma è uno dei lobbisti più potenti del mondo. Non rappresenta gli interessi dell’industria petrolifera o automobilistica, come ci si potrebbe aspettare da uno che fa il suo lavoro, ma quelli dei loro oppositori. Si batte contro i mezzi di trasporto a benzina e diesel, e sostiene le fonti di energia rinnovabile. Non lo si vede alle manifestazioni né ai talk show televisivi. Lavora nell’ombra, con molti soldi e tanto potere.

Harvey ha creato organizzazioni senza le quali lo scandalo sulla falsificazione dei dati dei motori diesel della Volkswagen non sarebbe mai emerso. Senza Harvey oggi non ci sarebbero ottocentomila auto elettriche sulle strade tedesche. Anche la recente decisione del parlamento europeo di vietare dal 2035 la vendita in Europa di veicoli con motori termici gli deve molto.

Tanti lobbisti non vogliono mostrare il loro lavoro dietro le quinte. Harvey invece lo fa volentieri. Quando lo incontro a Berlino racconta nel dettaglio come da decenni organizza campagne, fonda organizzazioni e mette persone di fiducia nelle posizioni giuste, fino ai piani alti del ministero dell’economia tedesco.

Il suo metodo consiste nell’esportare in tutto il mondo la tradizione statunitense dei cosiddetti think tank, i centri studi. Negli Stati Uniti ci sono schiere di politologi che, quando il loro partito vince le elezioni, s’insediano nei ministeri. Quando sono all’opposizione invece lavorano nei centri studi a sviluppare strategie per il futuro governo. Harvey, però, non è legato a nessun partito. Vuole solo fermare il cambiamento climatico.

Lo scandalo delle emissioni illustra bene il suo metodo. Nei primi anni duemila Harvey aveva capito che i governi erano poco preparati sulle normative che regolano le emissioni delle auto. All’epoca , per esempio, in Cina decine di lobbisti dell’industria petrolifera e automobilistica mondiale si erano lavorati l’unico funzionario responsabile delle normative sui gas di scarico. Harvey era venuto a saperlo da Michael Walsh, che lavorava per la California environmental protection agency, un’agenzia federale statunitense per la tutela dell’ambiente. Così nel 2001 fece in modo che un suo connazionale fondasse l’International council on clean transportation (Icct), che riuniva gli esperti mondiali di sostenibilità nei trasporti.

Nel 2015 è stata proprio l’Icct a scoprire le manipolazioni dei dati sulle emissioni dei veicoli diesel della Volkswagen, facendo precipitare l’azienda tedesca nella peggiore crisi della sua storia. “Senza di lui, l’Icct non sarebbe mai esistito. Non conosco nessuno che si dedichi tanto alla difesa dell’ambiente”, dichiara Walsh. Il tedesco Axel Friedrich, anche lui tra i fondatori dell’Icct, sintetizza così quello che fa Harvey: “Noi avevamo l’idea, lui i soldi”. A quanto pare, alla Volkswagen non sanno chi è. Di fronte a una domanda precisa, né l’amministratore delegato dell’azienda Ralf Brandstätter né il principale lobbista della Volkswagen Thomas Steg hanno fatto il suo nome.

I politici sono fissati con le prossime elezioni, le aziende con il prossimo trimestre. I filantropi possono ragionare su orizzonti diversi

Un tipo mattiniero

Harvey è cresciuto ad Aspen, in Colorado. I suoi genitori erano contadini e maestri di sci. Spedivano i loro sei figli sulle piste il più spesso possibile. “Era il loro modo per liberarsi di noi”, dice durante il nostro incontro, alle otto di mattina nella hall dell’albergo Mandala suites di Berlino (“Sono un tipo mattiniero”, commenta). Nella capitale tedesca Harvey gestisce la sua rete: incontra lobbisti, scienziati e politici.

Ci si potrebbe aspettare che parli dello scioglimento dei ghiacciai nelle montagne rocciose, un fenomeno che gli ha letteralmente mostrato il cambiamento climatico, ma non lo fa. Racconta un’altra esperienza rivelatrice: la sua visita per il militare. All’inizio degli anni ottanta il presidente degli Stati Uniti, all’epoca era Jimmy Carter, aveva reintrodotto la leva obbligatoria. Mentre faceva le prove d’idoneità, Harvey cominciò a riflettere sul fatto che tutte le future guerre nel mondo avrebbero avuto a che fare con il petrolio. “Sapevo che dovevamo cambiare strada, alla svelta”, dice. Non fu arruolato e cominciò a studiare a Stanford: tecnologia energetica, fisica e politica. In quel momento gli fu chiaro, dice oggi, “che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili era la chiave di tante cose: sicurezza energetica, inquinamento, cambiamento climatico, sicurezza nazionale”.

Dopo gli studi lavorò per delle organizzazioni non governative che si battevano per un maggiore controllo sulle armi nucleari. In questo modo conobbe fondazioni molto influenti come la Rockefeller foundation e il Pew charitable trust. I loro patrimoni provenivano da famiglie miliardarie che, con spirito filantropico, desideravano migliorare il mondo e risparmiare sulle tasse. Alla fine degli anni ottanta Pew e Rockefeller si unirono e assunsero Harvey. Il suo compito era creare la Energy foundation, con l’obiettivo di rimediare alla carenza di energia degli Stati Uniti. “Era la prima organizzazione filantropica a occuparsi di clima”, dice.

Come un ingegnere

Nel 1992 Harvey smontò con le sue mani la sua vecchia Ford Escort. Tolse il motore, i freni, le sospensioni e il cambio. Quindi mise insieme un involucro per batterie e predispose 18 batterie: l’auto elettrica era pronta. “L’ho usata per andare al lavoro per cinque anni, velocità massima cento chilometri orari”, dice. I pannelli solari sul tettuccio ricaricavano l’auto: “Così avevo un veicolo a emissioni zero”.

Questo pragmatismo lo rese famoso nel mondo delle fondazioni. “Hal pensa come un ingegnere: come posso raggiungere il mio obiettivo nel modo più efficiente possibile?”. A dirlo è Paul Brest, per anni presidente della William and Flora Hewlett foundation, che prende il nome dal cofondatore del gigante informatico Hewlett-Packard e da sua moglie. Nel 2020 la fondazione aveva a disposizione un patrimonio di più di tredici miliardi di dollari. Brest l’ha guidata dal 2000 al 2012. Inizialmente tra i suoi principali compiti c’era orientare il programma della fondazione sulla tutela del clima. “Stavamo cercando qualcuno con molta esperienza nel campo e Hal era la persona giusta”, dice Brest in un collegamento video. Nel 2002 nominò Harvey capo del programma ambientale. Per il lobbista la Hewlett foundation era diventata la base per ogni progetto futuro.

Harvey ampliò instancabilmente la sua rete di contatti. Già nel 1999 aveva fondato una filiale cinese della Energy foundation. Aveva capito che i soldi dei filantropi gli davano un grande vantaggio competitivo.

Lo studio Design to win del 2007, realizzato proprio dalla fondazione Hewlett, prendeva in esame le strategie migliori per risolvere i problemi mondiali. Gli autori scrivevano: “I politici sono fissati con le prossime elezioni, i capi delle aziende con il prossimo trimestre. I filantropi, al contrario, possono ragionare su orizzonti temporali diversi e correre rischi maggiori”. Harvey era tra i firmatari dello studio. Il documento conteneva un altro messaggio chiave: i filantropi possono attraversare confini e settori con molta più facilità dei politici. “È proprio quello che serve per combattere il riscaldamento globale”. Gli autori avevano abbozzato un progetto per influenzare il discorso pubblico con l’aiuto dei filantropi. Identificavano quattro regioni – Stati Uniti, Unione europea, Cina e India – e cinque settori – energia, industria, immobiliare, trasporti, economia forestale – su cui l’attività dei lobbisti avrebbe dovuto concentrarsi.

Era il periodo in cui Una scomoda verità, il documentario sul cambiamento climatico di Al Gore, vinceva due premi Oscar. Hal Harvey però non voleva descrivere gli effetti del cambiamento climatico, voleva prevenirlo. Nel 2008 ha fondato la Climate works foundation, finanziata principalmente dalla fondazione Hewlett, che ha messo a disposizione cinquecento milioni di dollari per l’ambiente. Sempre nel 2008 ha sostenuto la creazione della European climate foundation nei Paesi Bassi. In Germania ha fondato i centri studi Agora Energiewende (nel 2012) e Agora Verkehrswende (nel 2016) insieme a Bernhard Lorentz. Lorentz era la persona giusta per fare una cosa del genere. È pieno di contatti nei circoli politici di Berlino e comincia a darti del tu prima ancora che tu possa dire “buongiorno”. In modo simile a Harvey, Lorentz ha fatto in modo che la fondazione Mercator, che dirige dal 2008, si concentrasse sulla protezione del clima. In un’intervista ha descritto il loro metodo di lavoro: il piano è preparato dalle fondazioni attraverso studi empirici ed è poi è tradotto in azioni politiche. L’ideale, aggiunge, è piazzare i dipendenti dei centri studi direttamente nei ministeri. Questa linea ha funzionato. Un capo dipartimento del ministero federale ha detto che il lavoro del dicastero sarebbe nullo senza la competenza degli esperti di Agora. Agora Energiewende inoltre riceve soldi dal governo: nel 2021 circa 1,3 milioni di euro dal ministero dell’ambiente e novecento da quello dell’economia. Ma ha ricevuto più finanziamenti da Harvey e dalle fondazioni a lui legate.

In pratica il moto perpetuo in politica di Harvey non finanzia solo fondazioni e centri studi statunitensi, ma in tutto il mondo. Il solo Icct dal 2007 ha ricevuto più di venti milioni di dollari dalla fondazione Hewlett.

Una fabbrica della Volkswagen a Emden, in Germania, maggio 2022 (Sina Schuldt, Picture alliance/Getty Images)

Nel 2020 Harvey e Lorentz hanno creato anche la Klimaneutralität, fondazione per la neutralità climatica. Ancora una volta, Lorentz ha avuto l’idea e Harvey ha trovato i soldi.

Lorentz, che come Harvey siede nel consiglio della fondazione, racconta con orgoglio come le teorie elaborate dalla fondazione siano state riprese dal governo. I fatti sembrano dargli ragione.

In occasione delle elezioni federali, in un documento congiunto con Agora Verkehrswende e Agora Energiewende, la fondazione Klimaneutralität raccomandava: “In ogni land un 2 per cento della superficie totale dovrà essere usato per l’espansione dell’energia eolica on shore (sulla terraferma)”. A gennaio il ministero dell’economia ha annunciato una legge sull’energia eolica on shore come misura immediata per proteggere il clima. Nel sito internet si leggeva: “Con la nuova legge sull’energia eolica on shore, riserviamo il 2 per cento della superficie del paese all’energia eolica”. Nell’estate 2021 la fondazione Klimaneutralität, l’Agora Energiewende e l’Agora Verkehrswende hanno scritto: “Servono strumenti per portare il numero di auto elettriche ad almeno quattordici milioni entro il 2030”. Nel maggio 2022 il governo ha annunciato sul suo sito: “Il governo federale sta promuovendo la trasformazione, in modo che la Germania diventi leader del mercato dei trasporti elettrici e delle auto che si guidano da sole. L’obiettivo è arrivare ad almeno quindici milioni di auto completamente elettriche entro il 2030”.

Una pioggia di numeri

Deputati tedeschi e parlamentari europei sono pressati dalle organizzazioni legate a Hal Harvey con una pioggia di numeri, studi e opuscoli sempre nuovi. Jens Gieseke, 51 anni, è un deputato del parlamento europeo dal 2014. Il 15 settembre 2021, Gieseke è diventato relatore per l’ala conservatrice del Partito popolare europeo (Ppe) di un dossier sulla “revisione dei limiti di monossido di carbonio per le auto”.

Dietro la formula tecnica c’è una questione politica: le auto a benzina e diesel potranno circolare su strada anche dopo il 2035? Ha ricevuto centinaia di richieste di appuntamenti da ong e associazioni, racconta Gieseke. “Non ho il tempo di fare ricerche su chi c’è dietro le organizzazioni”. Secondo lui “quando un’ong chiede un appuntamento, la maggior parte dei parlamentari lo conferma senza esitazioni: rappresentano un interesse pubblico”. Gieseke si è espresso a favore dell’uso dei combustibili sintetici (prodotti in laboratorio) come alternativa ai veicoli a batteria, perché nel medio termine potrebbero essere migliori per il clima rispetto alle auto elettriche. “Ma non ho fatto in tempo a suggerirlo, che puntualmente è arrivato uno studio di parere contrario”, dice. Alla fine del 2021, la Federazione europea per il trasporto e l’ambiente ha definito i combustibili sintetici “altrettanto inquinanti della benzina”.

Biografia

1960 Nasce ad Aspen, in Colorado, negli Stati Uniti.

1982 Si laurea in ingegneria all’università di Stanford.

2002 Diventa il responsabile del programma ambientale della William and Flora Hewlett foundation.

2001 È tra i fondatori dell’Icct, il centro studi che nel 2015 svelerà lo scandalo Volkswagen sulle emissioni dei motori diesel.

2018 Esce il suo primo libro, Designing climate solutions (Island press), in cui affronta il tema del cambiamento climatico e del taglio delle emissioni.


La Federazione europea per il trasporto e l’ambiente dà lavoro a più di ottanta persone a Bruxelles ed è stata finanziata dalla Eu­rope­an cli­ma­te founda­ti­on di Harvey nel 2020 con 1,7 milioni di euro.

All’inizio di luglio Thomas Koch, che dirige l’In­sti­tut für kol­ben­ma­schi­nen (istituto per i motori a pistoni) dell’università di Karlsruhe, ha scritto con alcuni colleghi una lettera aperta firmata da più di trecento scienziati. “Più volte è stata rifiutata una vera discussione scientifica”, si lamenta. Nella lettera gli scienziati mettono in guardia contro la santificazione dei motori elettrici. Stando alle conoscenze attuali, scrivono, è impossibile convertire tutte le auto al motore elettrico senza usare energia prodotta da carbone inquinante per ricaricare le loro batterie. Lo stesso Harvey ha detto in passato che limitarsi a una sola soluzione è rischioso. Ma oggi sembra molto più determinato: “Non ho nulla in contrario se si faranno leggi a favore delle auto elettriche. Sono la via più rapida e semplice per la decarbonizzazione. Con ogni nuova turbina eolica o pannello solare installati, l’auto elettrica diventa un po’ più pulita”.

In privato, oggi Harvey guida una Bmw i3 elettrica. La Bmw è l’ultima casa automobilistica tedesca che non si è completamente convertita all’elettrico e lascia libertà di scelta: è il cliente a decidere con quale motore viaggiare verso la neutralità climatica. Il capo dell’azienda, Oliver Zipse, considera molto rischioso imporre per legge la mobilità elettrica. “La discussione scientifica e la visione d’insieme sono trascurate quando si parla di questo tema”, confida il manager. Si preoccupa delle nuove dipendenze. La Cina possiede già la maggior parte delle terre rare necessarie per la produzione delle batterie. Alcune domande chiave rimangono senza risposta, aggiunge Zipse: “Come farà l’Europa a garantirsi l’accesso alle materie prime? Se l’Unione europea vuole essere una pioniera della mobilità sostenibile, deve assicurarsi la disponibilità di questi materiali, o affronteremo nuove dipendenze”.

A quanto dice, Zipse non ha mai sentito il nome di Hal Harvey. Ma presto il capo della Bmw sperimenterà gli effetti del lavoro del lobbista.

Data di scadenza

L’8 giugno alle 18.10 Jens Gieseke ha premuto un pulsante dal suo seggio al parlamento di Strasburgo. Ha votato contro il divieto di vendere nuove vetture a combustione interna entro il 2035. Ma è rimasto in minoranza: 339 dei 612 europarlamentari hanno votato a favore.

Pochi minuti dopo il voto, l’ong Trans­port and en­vi­ron­ment ha inviato un comunicato stampa chiedendo ai ministri dell’ambiente dell’Unione europea di fissare nella loro riunione del 28 giugno “una data di scadenza effettiva per le vendite di nuove auto con motori a combustione”. La Trans­port and en­vi­ron­ment ha anche informato Hal Harvey sull’esito del voto attraverso un’email. Lui si trovava nella sua casa a San Francisco, negli Stati Uniti.

Non è ancora chiaro se i governi accoglieranno la decisione presa a Strasburgo, ma per il momento Harvey definisce “fantastico” il risultato del voto del parlamento europeo. Come mi aveva già detto in occasione del nostro incontro a Berlino alla fine di aprile, “bisogna trasformare le minacce mondiali in soluzioni concrete”. È un lavoro abbastanza difficile. “Ma quando ci riesci, sfiora la magia”. ◆ nv

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Questo articolo è uscito sul numero 1469 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati