Sarà che sto ascoltando È finita la pace di Marracash parallelamente a Debí tirar más fotos di Bad Bunny – sarebbe più ovvio un ascolto sincronizzato di Marracash con GNX di Kendrick Lamar –, ma nella sezione critica della mia coscienza si alternano riflessioni sul rapporto tra “pesantezza” e “leggerezza” nella ricezione di questo tipo di album. Nello specifico, mi chiedo qual è il motivo per cui se “pesante” è un aggettivo che squalifica l’importanza di un film o di un romanzo, scoraggiando chi sta dall’altra parte al confronto, quando si tratta di un disco rap diventa una connotazione di merito.
Con Persona (2019) e Noi, loro, gli altri (2021) Marracash aveva scritto opere acclamate, ormai metabolizzate dal nostro inconscio sonoro, e oggettivamente “pesanti” per la massa di idee, parole e ambizioni, capaci di passare dall’autofiction alla stesura di affreschi collettivi con tanto di critica al capitale e alla commodificazione della strada da parte di un cattivo maestro che non diventa mai apertamente un pentito (in questo è perfino più esplicito dello stesso Lamar). E chissà cosa fa la leggerezza del futuro rispetto allo statuto monolitico del passato: È finita la pace è un disco meno magmatico del suo precedessore, ha delle feritoie che riportano se non proprio alla luce, quantomeno a una maggiore voglia di non pesare tutto fino all’ultimo milligrammo. Non è una questione di merito ma, come dimostra l’isteria attorno all’ultimo album di Bad Bunny, dev’essere una voglia diffusa di muoversi senza smettere di pensare, in direzione di “un’epica sgangherata”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1597 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati