Per decenni l’Italia è rimasta in una posizione di relativa comodità nell’Unione europea, mentre Francia e Germania decidevano sulle grandi questioni. La terza economia della zona euro, fondatrice dell’Unio­ne europea, si è abituata a essere la prima potenza tra i deboli e la più debole tra i forti. Ma a Roma credono che il momento storico imponga un cambiamento. Proprio mentre Francia e Germania sono alle prese con un complicato ciclo elettorale, il presidente del consiglio italiano Mario Draghi sta cercando di aprire nuovi spazi per l’Italia. Il 25 novembre, con l’arrivo di Emmanuel Macron a Roma, questa scommessa è stata sancita dalla firma del cosiddetto trattato del Quirinale, che servirà a rendere più semplici le relazioni tra i due paesi e gli permetterà di affrontare insieme i cambiamenti che li aspettano.

Prossime sfide

Il documento, composto da 12 articoli, è stato pensato da Macron nel 2018 per bilanciare il potere economico della Germania. Il trattato stabilisce progetti di cooperazione su immigrazione, commercio, affari esteri, sicurezza, ricerca e cultura. Non ci sono dossier specifici e ogni anno si terrà un vertice intergovernativo tra i due presidenti e i ministri competenti in base ai temi in discussione. Fonti coinvolte nei negoziati sottolineano che lo sguardo è rivolto alle prossime sfide. Prima tra tutte creare un fronte comune per impedire un ritorno all’austerità economica –che alcuni paesi del nord, tra cui la Germania, potrebbero cercare d’imporre – e mantenere una politica economica espansiva. Si punterà sulla riforma del patto di stabilità. Il documento, sottolineano fonti governative italiane, non esclude accordi della stessa natura con altri paesi. Francia e Germania hanno in effetti già firmato un patto simile con il trattato dell’Eliseo (promosso nel 1963 da Charles de Gaulle) e rinnovato nel 2019 ad Aquisgrana. Ma è chiaro che il governo Draghi guarda soprattutto a nord.

Nel 2012 l’allora ministro degli affari europei, Enzo Moavero Milanesi, aveva invitato la Spagna al vertice di preparazione di un consiglio europeo. Era stato un punto di svolta. Più recentemente il presidente del consiglio Giuseppe Conte aveva stabilito un’intensa cooperazione con Madrid, che aveva permesso ai due paesi di ottenere le quote più consistenti dei fondi stanziati dall’Unione europea contro gli effetti della pandemia.

Il trattato, secondo un’alta fonte diplomatica italiana, potrebbe anche rappresentare un passo indietro. “I trattati bilaterali hanno poco senso in un sistema come l’Unione europea. Per l’Italia è importante mantenere buoni rapporti di vicinato nel modo più ampio possibile. Questi patti lasciano un gusto un po’ amaro per i paesi esclusi. L’Unione europea dovrebbe fare in modo che gli stati non sentano il bisogno di firmarli”.

Le relazioni tra Italia e Francia negli ultimi anni non sono state buone. Hanno cominciato a guastarsi con l’attacco militare alla Libia nel 2011, accelerato da Nicolas Sarkozy e contrastato da Silvio Berlusconi. L’Italia era stata costretta ad assecondarlo dopo l’approvazione della Nato. Il tempo – anche forse solo per caso – ha dato parzialmente ragione al Cavaliere. Ma la guerra sull’energia tra le aziende di stato Total (francese) ed Eni (italiana) è continuata fino a oggi. E i due paesi hanno scommesso su figure diverse per guidare la ricostruzione libica, con la Francia che ha promosso la candidatura del generale Haftar e l’Italia quella del primo ministro Al Serraj. “Senza una vera azione europea, ci troveremo di fronte russi e i turchi. È inutile competere tra di noi. Oggi è molto importante collaborare”, afferma Sandro Gozi, eurodeputato del gruppo Renew Europe e tra i principali promotori del trattato. Nel governo presieduto da Paolo Gentiloni, Gozi era stato sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega agli affari europei. Di fronte all’avanzata turca in Libia, Roma ritiene che la Francia sia ora il male minore.

I tempi sono cambiati

I governi presieduti da Giuseppe Conte hanno peggiorato le relazioni tra i due paesi. Erano tempi in cui l’aggressività delle aziende francesi – che cercavano di rilevare Mediaset e di entrare nel colosso telefonico Tim – e i maldestri rapporti con i gilet gialli dell’allora vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio rendevano difficile qualsiasi riavvicinamento. Matteo Salvini, ministro dell’interno, aveva cominciato una guerra contro Parigi su confini e immigrazione, e nessuno, fino all’arrivo di Draghi, era stato in grado di fermare l’escalation. L’ex presidente della Banca centrale europea (Bce) ha un eccellente rapporto con Macron, dicono le persone a lui vicine. “Bisogna ricordare che il presidente francese ha fatto un bellissimo discorso d’addio quando Draghi ha lasciato la presidenza della Bce”, sottolineano fonti dell’esecutivo italiano.

Oggi i tempi sono cambiati. E la situazione è matura per un accordo. Mario Draghi è a un bivio: deve decidere se puntare al Quirinale, visto che a breve il presidente della repubblica Sergio Mattarella concluderà il suo mandato. Ed Emmanuel Macron sarà impegnato in vista delle presidenziali del 2022. “È il momento perfetto”, dicono fonti governative italiane, che sottolineano come i due leader si siano già incontrati sei volte in meno di un anno. “C’è molto feeling. Da questo punto di vista, il rapporto è positivo. Di conseguenza la firma del trattato è stata anticipata. Volevamo concludere prima della fine dell’anno”, affermano.

L’accordo ha creato tensioni nella destra italiana, soprattutto in Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni ritiene scandaloso che il parlamento non sia stato informato del suo contenuto. La legge, tuttavia, prevede che questo avvenga solo in seguito. Ma il documento è stato applaudito dalla maggior parte dei partiti al governo.

Piero Fassino, deputato del Partito democratico, esperto osservatore delle questioni estere e presidente della Commissione affari internazionali della camera, ritiene che “agire sulla base di strategie comuni nei principali dossier dell’agenda europea e internazionale rappresenti un salto di qualità. Non bisogna neanche dimenticare che la Francia è il secondo part­ner commerciale dell’Italia dopo la Germania, con interessi comuni nel Mediterraneo, e che entrambi i paesi sono tra i fondatori dell’Unione europea. Non credo che questo sia un tentativo di rompere l’asse franco-tedesco, che ha una storia lunga e radicata. L’Unione europea, negli ultimi 65 anni, ha vissuto su quel binomio, ma anche sul ponte italo-tedesco, le cui rispettive democrazie cristiane hanno governato i due paesi per decenni, intendendosi molto bene”. L’Italia, in ogni caso, oggi guarda all’Europa per affrontare le riforme che verranno. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 35. Compra questo numero | Abbonati