Hamilton di Lin-Manuel Miranda è esploso fin dal suo debutto a Broadway, nel luglio del 2015, diventando praticamente all’istante un riferimento culturale oltre che lo spettacolo più popolare in città. Anche quando un pessimo posto al Richard Rodgers theatre costava più di una poltronissima in qualsiasi altro teatro, era difficile sentir dire a qualcuno che i prezzi fossero troppo alti. Tuttavia, mentre parecchi rivenditori dell’agenzia Stubhub si sono arricchiti grazie alla frenesia generata dallo spettacolo, neanche il più scaltro di loro ha avuto la sfrontatezza di chiedere i 75 milioni di dollari che Disney ha accettato di pagare per assicurarsi i diritti della registrazione dal vivo di uno spettacolo del giugno del 2016 con il cast originale.
Momento rivoluzionario
Dopo aver sborsato più soldi di quanti ne avrebbe mai saputi spendere lo stesso Alexander Hamilton (uno dei padri fondatori e primo segretario al tesoro degli Stati Uniti), Disney prevedeva di far uscire la registrazione nei cinema il prossimo autunno, se non fosse stato per il covid-19. Ma le pandemie – come le guerre – creano nuove opportunità in modi strani. Così Disney ha approfittato di questi “tempi d’incertezza” per spingere lo spettacolo dritto sulla sua piattaforma streaming, dando così vita a un momento rivoluzionario per la distribuzione.
Questo Hamilton, che sarà per chissà quanto tempo ancora la cosa più vicina all’esperienza di vedere lo spettacolo a Broadway ed è un raro caso di successo acchiappa-soldi con un vago sapore di servizio pubblico, mantiene quello che promette: una bottiglia pregiata che conserva la produzione migliore dello spettacolo e scambia la sua versione della storia americana con la sostanza della storia americana in un modo che sarebbe stato impossibile oggi, con lo spettacolo dal vivo. Non stiamo dicendo che il fenomeno creato da Miranda è invecchiato. Può anche essere meno “di tendenza” rispetto a qualche anno fa (soprattutto grazie ai naturali alti e bassi della cultura pop e allo strazio di Il ritorno di Mary Poppins, dove Lin-Manuel Miranda ha preso il posto dello spazzacamino Bert), ma Hamilton è più monumentale che mai. Anzi, un musical hip hop dove i padri fondatori sono interpretati da rappresentanti di minoranze e fanno freestyle, colpisce ancora di più dopo il Black lives matter e dopo i passi in avanti che gli Stati Uniti stanno facendo per affrontare la questione razziale, in un momento in cui le statue di schiavisti bianchi vengono rovesciate un po’ ovunque nello sforzo collettivo di rendere l’America great again, o quanto meno all’altezza delle aspirazioni dei padri fondatori. Spetta ancora a noi raccontare la storia e, anche se secondo gli standard moderni avremmo dovuto cancellare da tempo il personaggio di Hamilton, lo spettacolo che porta il suo nome dovrebbe continuare a riecheggiare almeno finché questo paese non sarà all’altezza delle sue promesse.
È un peccato (ma non così grave) che Miranda non ritenga queste verità ovvie, visto che nella presentazione dello spettacolo su Disney+ c’è una breve introduzione (che si può tranquillamente saltare) in cui lui e il regista Thomas Kail spiegano, via Zoom, la decisione di portare Hamilton nelle nostre case. “Stiamo tutti riflettendo su cosa significhi essere statunitensi”, dice uno di loro. E anche se condividere quest’opera d’arte con milioni di persone che altrimenti non avrebbero potuto vederla s’incastra alla perfezione nello spirito democratico dello spettacolo, questo preambolo somiglia tanto a una forzata richiesta di scuse a tutti quelli che hanno sganciato i risparmi di una vita per comprare un biglietto.
Dopo questo breve momento di follia, comunque, gli abbonati a Disney+ riceveranno 161 minuti di genuino Hamilton in tutto il suo splendore e l’esperienza sarà contemporaneamente migliore e peggiore che guardare lo spettacolo dal vivo, il che in un certo senso è l’ideale. Questa è un’edizione cinematografica di Hamilton e non il film di Hamilton che di certo, prima o poi, si farà, e Kail riconosce implicitamente la differenza.
Da un lato non c’è modo di compensare la superiorità del teatro dal vivo. A parte un paio di parolacce smorzate, questo è lo spettacolo che i fan conoscono a memoria e avrebbero visto sul palco, con tanto di applausi e risate e perfino un intervallo di un minuto tra i due atti. C’è la scena della morte di John Laurens, assente dalla colonna sonora originale, come bonus per chi ha già visto Hamilton dal vivo. In gran parte è come se qualcuno avesse piazzato delle videocamere in giro per il Richard Rodgers theatre durante una replica dello spettacolo e poi montato le riprese per i posteri. Ed è letteralmente quello che ha fatto Kail.
Un posto in prima fila
È però ciò che non rientra in quella “gran parte” a rendere questo Hamilton più di un semplice ricordo fotografico. Meglio di un posto in prima fila, il film di Kail – possiamo chiamarlo così – è abbastanza cinematografico da amplificare e accentuare la risacca emotiva dello spettacolo senza alterare la cura della regia teatrale. I primi piani potrebbero apparire una scelta ovvia per questo tipo di operazioni, soprattutto se girati da una distanza tale da non spezzare l’arco scenico del palco, ma qui sono usati senza esagerazione.
In alcuni casi si può cogliere un dettaglio che non si sarebbe mai notato dal loggione, come lo sputo adirato di re Giorgio III quando canta, o l’abbinamento tra gli orecchini turchesi di Eliza e il suo abito. In altri momenti di maggiore impatto queste incursioni consentono di avvicinarsi di più ai personaggi (e alle persone dal talento straordinario che li interpretano). Direste che il George Washington di Christopher Jackson è una forza della natura anche a occhi chiusi, ma vedere la saggezza conquistata con grande dolore serrarsi sul suo volto quando avverte Hamilton di rallentare fa la differenza. E la solidarietà che sentivate già per l’Aaron Burr di Leslie Odom Jr. diventa ancora più profonda quando l’attore chiude gli occhi sulle note più angosciate di Wait for it, come se Burr stesse pregando all’altare della sua fede paziente.
Kail ha posizionato delle telecamere anche in alto, per cogliere il palco nella sua interezza, e altre dal basso che trasmettono il senso della storia di Hamilton (e anche la sua arroganza). Perfino una semplice inquadratura a due può sembrare una rivelazione in uno spettacolo che avete visto sempre solo da lontano.
Questo è Hamilton come avreste sempre voluto vederlo. Disney+ l’ha messo in onda in tempo per il quattro luglio: un giorno perfetto per ricordare che vale la pena di celebrare gli Stati Uniti solo per quello che aspirano a essere, la loro versione migliore, e non quella pietrificata nelle pagine dei libri di storia. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati